giovedì 15 novembre 2012
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Il 'rischio Grecia' non è più solo quello di finire nel baratro, schiacciati da una spe­sa pubblica fuori controllo e da una specu­lazione finanziaria particolarmente acca­nita. Da ieri è anche quello di vedere ac­cendersi i fuochi di una rivolta permanen­te. Limitata, minoritaria, certamente. Ma non per questo meno violenta e rovinosa per il Paese.Le sequenze degli scontri verificatisi a Roma come a Milano, a Torino come a Brescia, con i tentativi di manifestanti a volto coperto di sfondare i cordoni delle Forze dell’ordine non sono sovrapponibili alle immagini di piazza Syntagma ad Atene, resa nebbiosa dai fu­mogeni e illuminata solo dalle fiammate del­le molotov. Non ancora, perlomeno.Tutta­via il rischio c’è, e si avvertiva in modo netto nella tensione che ha attanagliato la capita­le con i cortei deviati, i lanci di sassi e altri og­getti, le decine di agenti e carabinieri feriti. E non di meno preoccupano i nuovi assalti al­le sedi di Cisl e Uil, il riemergere delle mai so­pite divisioni nel mondo sindacale. Con la C­gil che ieri ha finito – suo malgrado – per of­frire una cornice 'nobile' e istituzionale co­me lo sciopero generale alla prepotenza del­le frange più becere del movimento studen­tesco e del variegato mondo che orbita at­torno a Cobas e centri sociali.Gli scontri in piazza, le vetrine sfondate, le lattine di ver­nice rovesciate nei locali della confederazio­ne guidata da Raffaele Bonanni a Roma e a Bologna, le accuse di essere 'filo-padronali' per ora sono solo l’ennesimo triste déjà vu (e bene ha fatto Susanna Camusso a condan­nare subito questi atti con nettezza). Anche solo queste prime e ritornanti forme di prevaricazione, però, segnalano quanto­meno tre inadeguatezze. La prima è quella di una parte del sindacato e della sinistra evi­dentemente incapaci di affrancarsi dalla mi­stica dello sciopero generale, vissuto come panacea di tutti i mali e catarsi collettiva. Spesso a prescindere dal risultato pratico che potrà ottenere o, appunto, dai rischi che può innescare.La mobilitazione promossa dal sindacato a livello europeo non comportava necessariamente la proclamazione di uno sciopero generale, che infatti si è svolto in so­li 3 Paesi su 27, deciso da parte di poche si­gle sindacali. Un grande sindacalista come Bruno Trentin si sarebbe posto il problema del 'giorno dopo', perché proclamare uno sciopero è facile, assicura consensi imme­diati all’interno e anche all’esterno dell’or­ganizzazione, a volte serve per far 'sfogare' la tensione in maniera pacifica.Ma poi con­ta cosa si fa il giorno successivo, cosa si può ottenere, cosa si 'costruisce' con il sacrificio delle ore di lavoro. E oggi come si può tute­lare con maggiore efficacia la condizione dei lavoratori? Facendo fermare in tutta I­talia quel poco lavoro che c’è, per sfilare nelle piazze, o restando incollati al tavolo della trattativa sulla produttività, cercando di concorrere, tutti insieme, a uno scatto in avanti del Paese?La seconda inadeguatezza è quella di chi si promuove come la 'novità' della politica, salvo ripercorrere vecchi schemi che pensa­vamo di esserci lasciati alle spalle da decen­ni. Per intenderci, il Beppe Grillo che invita le forze dell’ordine – «i soldati blu», come li chiama – a solidarizzare anziché manganel­lare i giovani manifestanti. Una riscrittura del pensiero di Pasolini, sulla comune condizio­ne di poliziotti e giovani, che però ha il difet­to di disconoscere la diversa responsabilità di chi attacca e chi difende, di chi scende in piazza con il viso mascherato e un manico di piccone e chi, per dovere, tutela la convivenza civile e i luoghi della democrazia, non è la scorta privata di una casta.La terza inadeguatezza è purtroppo quella di chi educa e indirizza tanti nostri ragazzi, trop­po facilmente preda di slogan preconfezio­nati – «la scuola privatizzata, svenduta, allo sfascio» – e perfino strumentalmente utiliz­zati nelle battaglie sindacali sull’orario dei professori. C’è un’immagine di ieri che col­pisce più di mille parole: l’irrompere di una madre nel corteo, mentre più intenso si fa­ceva lo scontro, che cercava il figlio, proba­bilmente un liceale. Gridava la donna, pian­gendo: 'Giovanni, dove sei?'. È la domanda di tutti noi: Giovanni dove sei? Dove rischia di perdersi ancora la tua generazione? E non può essere solo una domanda sconsolata.​
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