Il profilo demografico di un’Europa che ha alle spalle 70 anni di crescita rende inefficace tale dinamismo. Per crescere bisogna tornare a mettere al centro gli investimenti. Etimologicamente investire significa “mettere in evidenza, dare valore, attraverso una veste ornamentale”.
L’investimento economico è dunque un’evoluzione dell’antica idea di “investitura”. Investire è una scommessa proiettata su un futuro prima sognato e poi realizzato. È chiaro che per andare in questa direzione occorrono scelte politiche precise: capaci, cioè, di non guardare al consenso di breve periodo ma di puntare su archi temporali più lunghi. Facile a dirsi, difficile a farsi. Il che per la Ue comporta una metamorfosi profonda: da castello tecno-burocratico che emette normative e standard a soggetto politico in grado di sostenere attivamente una nuova ondata di “investimenti”. Ciò comporta mettere in discussione gli attuali assetti istituzionali dell’Unione.
I trattati non bastano più. Solo un’Europa che acquista capacità politica può continuare a esistere. Ma il tema non è solo istituzionale. Ci vantiamo spesso che l’Europa è l’unico continente con un sistema di welfare organizzato. Il che è evidentemente un grande patrimonio che va conservato. Ma è chiaro che, oltre ai costi che rischiano sempre di andare fuori controllo, c’è anche una questione che riguarda l’atteggiamento che noi europei abbiamo sviluppato nel corso degli anni: il rischio è che una società protettiva (che poi protettiva non è!) spenga la spinta generativa, creando invece un mondo tutto schiacciato sul presente, sull’io e i suoi diritti. E in definitiva sui consumi e sul “benessere”. Che alla fine diventa insostenibile.
La svolta che chiede Draghi necessita di una grande visione politica. Ma un grande visione politica non può darsi senza risveglio spirituale. E quando parliamo di dimensione spirituale parliamo dell’energie necessarie per affrontare con audacia quel cambiamento troppo spesso percepito (anche dai giovani) solo come minaccioso. I rischi che ci sono non possono essere taciuti. La ragione ci dice che la navigazione che ci aspetta potrà avere momenti tempestosi.
Ma ciò non toglie che una fase di così grandi cambiamenti costituisce un’occasione per fare tutti un passo in avanti. I passaggi che Draghi descrive nel suo documento possono essere realizzati se sapremo darci delle buone ragioni per tornare a investire, rompendo quella gabbia individualistica che, alla fine, imprigiona nell’attimo presente e nella grettezza dell’interesse individuale. Oggi sappiamo con chiarezza che, per essere possibile, la crescita economica ha bisogno di condizioni sociali, culturali, istituzionali. Abbiamo certamente bisogno di investimenti in tecnologia.
Ma anche di investimenti nella scuola, nella formazione, nella sanità, nella casa. E soprattutto c’è bisogno di un nuovo spirito europeo che ci ispiri. Perché è solo la coralità di un intero popolo che guarda al futuro che può generare una nuova stagione di sviluppo.