Tombe negate la morte un problema dei vivi
domenica 15 maggio 2022

C’è un’emergenza silenziosa in Italia. Se ne parla poco, forse perché riguarda i morti, e i familiari dei defunti non sono un sindacato; o forse, perché i morti tacciono, e non contano. Ma su queste pagine, ieri, se ne è scritto, eccome. A Palermo, ai Rotoli di Vergine Maria, mille e cento bare ammassate in capannoni, in coda: non c’è posto.

Ognuna ha, incollata, una foto, e il nome, e un fiore che i parenti portano comunque, in quel magazzino che accoglie casualmente nuovi arrivati e defunti in attesa da due anni. A Napoli, a gennaio una parte del cimitero ha subito gravi danni, forse per via dei lavori del metrò. Lapidi crollate, loculi scoperchiati. Da allora Poggioreale è sotto sequestro per le indagini della magistratura: chiuso 'fino a data da destinarsi', la mesta formula che vuole dire più meno :'chissà'. Alcune bare sono addirittura all’aperto, esposte alla pioggia e al sole. E le donne vanno ad appendere fiori ai cancelli sbarrati. A Roma perfino, al quartiere Flaminio-Prima Porta, ad aprile giacevano accatastate centinaia di bare.

L’onda tragica del Covid? Ma il Covid c’è stato, e più tremendo, al Nord, eppure nei dintorni di Milano vedi piccoli cimiteri ampliati, o nuovi, dove ogni giorno le ruspe scavano altre fosse. E non ci sono lapidi di marmo, e le tombe sono nella nuda terra, però il luogo è dignitoso e ordinato. Un luogo per riposare in pace. Più a Sud invece, e pure in città che hanno una forte tradizione nel culto dei morti, questo caos. A Palermo un abbandono tale, che mesi fa branchi di cinghiali affamati hanno fatto irruzione fra le tombe, scavato, divelto lapidi. Quasi che un territorio attorno spopolato, o imbarbarito non proteggesse più la città dei morti. Palermo, però, non è nessuna delle due cose. Quelle pile di bare parcheggiate come container in un deposito lasciano quindi a chi le vede un’amarezza: perché lo sai, che ciascuno di questi morti era un uomo, una donna.

Che tutti avevano qualcuno che li amava. La catasta nemmeno ordinata di feretri, ora che il picco della pandemia è passato, sembra dire, in certi luoghi d’Italia, di una impreparazione, di vecchie falde di carte ingiallite e di permessi in ritardo, di polvere di burocrazia insomma, un dito di polvere sull’amministrazione di diversi cimiteri. Parlare di morte, si sa, non piace, non attira, non remunera sul piano elettorale. 'Non c’è spazio', replicano i responsabili, o non c’è la decisione della Giunta, o non c’è un regolamento. La cremazione, sempre più richiesta, risolverebbe quanto a spazio qualche problema: purtroppo però nemmeno i forni crematori funzionano come dovrebbero.

Anche lì, i morti in coda. Perché questa sciatteria? Come una trascuratezza: quell’angolo silenzioso di città, quasi il ripostiglio in cui nelle case di abbandona ciò che non serve più. Che il luogo sacro della preghiera e del ricordo risenta di una smemoratezza, fra i più giovani, del suo significato? Perché è da vecchi che si capisce appieno un cimitero, e ogni nome ti racconta qualcosa. È da vecchio, che i tuoi amici sono lì.

Allora forse in questo tempo troppo veloce e smart e virtuale la amministrazione dei cimiteri andrebbe affidata ai vecchi: uomini che sanno cos’è, dopo cinquant’anni con una donna, non poterle dare una tomba. In terra, come lei voleva, e su cui piantare delle rosa, chiare. Come piacevano, a vent’anni, a lei. Perché la morte, è un problema dei vivi. Sono loro che restano, che vorrebbero almeno una pietra su cui andare, e restare, in mute domande. Una pietra che renda quel lutto inaggirabile: ma, nello stesso tempo, una pietra per costruire e cercare di ricominciare a vivere, ancora.

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