venerdì 11 gennaio 2019
Mi rivolsi al boss: «Io non ti avrei dato mai i miei soldi per far mettere bombe e per uccidere». Vidi il boss diventare piccolo piccolo, poi mi persi nello sguardo d'orgoglio dei miei figli
Rocco Mangiardi

Rocco Mangiardi

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Caro direttore,

sono già trascorsi due lustri dal giorno in cui ho preso per mano la mia vita e le ho detto: 'Andiamo!'. Sono passati dieci anni dal giorno in cui sono diventato un uomo veramente libero e voglio condividere qui e adesso, con tutti voi, la mia immensa gioia di quei momenti, gioia che tutt’ora mi fa vivere bene. Quel 9 gennaio del 2009, mi sono comportato come la persona che ho sempre desiderato essere: un cittadino responsabile, un padre e, soprattutto, un cristiano. Quel giorno ero in un’aula di tribunale ed ero così teso e emozionato – non dormivo da molte notti, aspettando quel momento – al punto da non ricordare quante volte andai al bagno prima che il giudice mi chiamasse. Non era paura la mia, ma la testimonianza fino a quel momento era stata rinviata per cavilli della difesa, di giorno in giorno, di mese in mese. Circondato e protetto dalle Forze dell’ordine, allora come adesso poste a garanzia della mia incolumità, e alle quali va il mio sentito ringraziamento.

Non ricordo quanto durò quell’udienza, sembrava interminabile, ma la pace e la serenità arrivarono a tarda mattinata. Dopo aver risposto a tutte le domande fattemi dal giudice e dalla difesa dei miei estorsori, che io avevo già indicato pubblicamente in aula, ricordo lo sfogo liberatorio con il quale mi rivolsi al boss Pasquale Giampá, alias Millelire: «Io non ti avrei dato mai i miei soldi per far sì che tu adescassi ragazzi e li istruissi a mettere bombe, a uccidere, o a finire in galera oppure essere a loro volta uccisi. Con i miei soldi no! Con i miei soldi pago padri di famiglia onesti che lavorano con me!». Vidi il boss diventare piccolo piccolo, e la mia libertà diventò immensa. Poi mi persi nello sguardo di orgoglio dei miei figli, che quel giorno erano lì presenti accanto a me.

Da quel momento il mio mondo diventò proprio come l’avevo desiderato. La bellezza di vivere era appena cominciata. Da quel giorno ho incontrato un mondo amico che prima non conoscevo, i miei amici veri. Qualcuno era presente anche in tribunale e nemmeno per un attimo mi ha abbandonato, qualcun altro si è allontanato o forse io stesso capendo i suoi intenti l’ho volutamente allontanato. Ho incontrato quel mare terso di miei amici che sono i familiari delle vittime innocenti delle mafie, e mi hanno dato forza. E che dire poi delle migliaia e migliaia di ragazzi che in tutta Italia ho fin qui incontrato? In loro ho cercato di seminare con tutte le mie forze e quanto ho potuto quella positività e quel seme di speranza che possiedo. E lo farò ancora. Infine, un bel pensiero va ai miei amici di fede che frequento in chiesa, con loro sono unito da tre cose: la nostra voce, le nostre chitarre e il nostro Dio.

Imprenditore a Lamezia Terme

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