Tobin Tax, Pir, finanza e impresa
giovedì 17 agosto 2017

Con i tanti problemi che ha il Paese sul fronte delle diseguaglianze e della tenuta sociale non appare francamente una priorità discutere dell’abolizione della Tobin tax italiana come propone con garbo un osservatore del calibro di Ferruccio de Bortoli nell’inserto "L’Economia" del "Corriere della Sera".
Sul fronte sociale, infatti, non può non allarmarci il fatto che la ripresa avvenga tra luci e ombre, con indicatori come la qualità del lavoro che stentano a migliorare e che spiegano buona parte di proteste e disagi. In Spagna ancor più che in Italia (ma in parte anche da noi) la ripresa sembra essere parzialmente pagata dalla precarietà del lavoro. E tra i dati più preoccupanti ci sono quelli demografici e sull'aspettativa di vita del Paese che, dopo l’enorme progresso registrato dall’unità d’Italia a oggi, ha iniziato a declinare (con i dati del primo trimestre del 2017, commentati con grande profondità in un’editoriale di Gian Carlo Blangiardo su "Avvenire" del 13 agosto, che sembrano indicare un’allarmante prosecuzione di tale tendenza).
In questo panorama di luci ed ombre, la Tobin tax (e i 400 milioni di entrate che genera per il fisco italiano) c’entra assai poco. La letteratura scientifica dimostra che la tassa, nelle proporzioni in cui è applicata in Italia, non ha alcun effetto negativo sulla crescita.
Il Paese con la Tobin tax più elevata del mondo è invece il Regno Unito dove con la Stamp Duty gli investitori pagano il 5 per mille (cinque volte di più che in Italia) su acquisto e vendita di titoli inglesi facendo intascare all’erario quasi 4 miliardi di sterline l’anno. La Stamp Duty non ha certo impedito alla Borsa di Londra di diventare la più importante piazza finanziaria mondiale. La tassa non ha qualsivoglia effetto sui capitali pazienti mentre diventa alta per il trading ad alta frequenza a causa dell’elevato numero di transazioni. Sono passati 10 anni dalla crisi finanziaria globale, e ne abbiamo onorato la memoria con una serie di articoli sperando che non possa più accadere. Alla radice della crisi ci fu lo scoppio della bolla immobiliare non a caso negli Stati Uniti (e non in Italia dove acquistare casa è più complicato) dove i risibili costi di transazione su acquisto e vendita di case avevano portato al paradosso (alla vigilia del 2017) di un 22% di acquisti di immobili comprati e venduti solo sulla carta per moventi speculativi. Una storia che ci insegna che qualche volta è saggio avere un costo di transazione un po’ più elevato che rallenta la velocità supersonica delle transazioni per evitare la creazione di bolle speculative che poi possono scoppiare, producendo i danni che tutti hanno imparato a conoscere.

La Tobin tax italiana include, lo ricordiamo, una tassa molto bassa sui saldi di fine giornata (0,1%, stiamo parlando di 1 euro su un acquisto di 1. 000 euro di azioni, e – de Bortoli tocca qui un punto sul quale anche su queste colonne si è insistito – avrebbe avuto più senso imporla sulle singole transazioni che sui saldi a fine giornata), maggiorata allo 0,2% per le operazioni fuori mercato (over the counter) al fine di disincentivarle, una tassa fissa sui derivati e una tassa sul trading ad alta frequenza che scatta nel momento in cui operatori non eseguono più del 60% degli ordini. Quest’ultima si propone di scoraggiare la pratica dei flash trades con la quale alcuni operatori cercano di influenzare il mercato e creare trend al rialzo o al ribasso postando falsi ordini e poi non eseguendoli.
Ci conviene togliere questi freni o rischiamo qualcosa in un mondo in cui ormai il 40% delle transazioni ad alta frequenza sono realizzate da algoritmi neurali e da robot senza alcun riferimento alle dinamiche dell’economia reale? Se l’obiettivo di queste misure è primariamente quello di evitare lo scoppio di bolle o cataclismi finanziari è per definizione difficile misurarne gli effetti positivi e bisogna scegliere con un’opzione valoriale da che parte stare. La tentazione di smantellare tutto è un po’ come quella che ci suggerisce di risparmiare su spese di polizia e antiterrorismo dopo un po’ che non osserviamo più attentati.

Con tutte le categorie in difficoltà nel Paese (i quattro milioni e settecentocinquantamila che vivono sotto la soglia di povertà, chi non riesce a pagare le cure mediche, i neet, i sottoccupati e i lavoratori poveri) dobbiamo sinceramente preoccuparci di sottrarre loro risorse per la tutela del trading ad alta frequenza? La ripresa sta debolmente facendosi strada ma permangono difetti strutturali molto importanti e da emendare urgentemente. Il Sistema Italia continua a essere indietro quanto a lacci e lacciuoli. Paghiamo inoltre un divario fondamentale, verso Paesi come gli Stati Uniti ad esempio, quanto ad attenzione a ciò che serve per la crescita delle piccole e medie imprese e delle imprese artigiane che sono l’ossatura del nostro sistema produttivo e la parte che sta soffrendo oggi di più perché ancora non abbastanza internazionalizzata.

Il lancio dei Pir (piani individuali di risparmio) ha cercato di intervenire su questo problema strutturale per quanto riguarda una delle dimensioni fondamentali del problema, ovvero l’accesso alle fonti di finanza esterna. Con il grave limite però di puntare solo sulle medie imprese quotate. In assenza di un forte aumento delle imprese che si quotano (cosa che non sta accadendo), le masse di risparmio che stanno andando verso i Pir attratte dalle esenzioni fiscali rischiano di creare una bolla. Il che dimostra ancora una volta che abbassare i costi di transazione può paradossalmente far male come alzarli troppo. È urgente dunque che quei fondi vengano usati per partecipazioni in fondi chiusi che investano in capitale di rischio rivolgendosi (con tutte le protezioni e garanzie del caso) alla vastissima platea delle piccole e medie imprese non quotate.

Sarebbe utile che sulla stampa italiana, pur nella legittima differenza di visioni, si unissero voci e forze su questo tema, davvero essenziale per il Paese, piuttosto che dividersi su quello della Tobin tax. Che in Italia è certamente perfettibile e, come qui si è sottolineato a più riprese, resta ancora lontana dalle idee e dagli obiettivi posti dalla rete di organizzazioni della società civile impegnata per una sua attuazione in sede europea. Idee e obiettivi sostenuti da circa un milione di cittadini e dalla firma di una cinquantina di autorità del settore della finanza.

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