venerdì 4 luglio 2025
Kiev sta vivendo una fase drammatica. Nel caso dell'Iran, l'Amministrazione Usa ha dimostrato la capacità di decidere in fretta. Eviti una partita più ampia sulla pelle del popolo ucraino
Il massiccio attacco lanciato dai russi su Kiev questa notte

Il massiccio attacco lanciato dai russi su Kiev questa notte - Fotogramma

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Donald Trump sta per tagliare il traguardo dei primi sei mesi alla Casa Bianca, un ottavo del suo secondo mandato, 182 giorni di frenetica attività. Aveva promesso che gli sarebbero bastate 24 ore per mettere fine alla guerra in Ucraina. Certo, era un proclama elettorale per la sua base MAGA, poco interessata a pagare i conflitti altrui che non danno vantaggi all’America. Nessuno, quindi, poteva crederci davvero. Ma giunti alla sesta telefonata con Vladimir Putin, il cui contenuto ha lasciato “scontento” il capo della Casa Bianca, sarebbe auspicabile che qualche linea strategica emergesse dallo Studio Ovale e indirizzasse la fase drammatica vissuta da Kiev, esposta ai peggiori attacchi aerei da tre anni a questa parte che aggravano la situazione umanitaria.
Passato il momento iniziale del disgelo tra superpotenze e probabilmente esaurita anche la fase esplorativa, appare chiaro agli osservatori che il Cremlino sfrutta queste chiamate per diffondere l’idea di essere disponibile a un approccio diplomatico e dare all’opinione pubblica distratta l’impressione che negoziati siano in corso tra Mosca e Washington. Ottenendo invece il risultato di indebolire la coesione occidentale, senza arretrare di un millimetro sui suoi obiettivi di conquista territoriale.

Erano trascorse letteralmente poche ore da quando i due presidenti avevano concluso la loro conversazione ed è partita la notte di bombardamenti russi sulla capitale ucraina, con la maggiore ondata di droni dall’inizio della guerra d’invasione. Nel frattempo, è giunto l’annuncio americano di un congelamento di forniture militari, quelle vitali per la difesa delle città dai missili che seminano morte e terrore tra i civili. Un altro segnale che gli Usa potrebbero volere spingere Zelensky ad accettare la perdita delle regioni che Putin non smette di rivendicare in cambio di un cessate il fuoco. L’imprevedibilità di Trump – che ieri ha parlato con il numero uno di Kiev rassicurandolo sull’appoggio statunitense nella protezione del Paese con gli armamenti richiesti – non sembra impressionare lo Zar russo, imperturbabile di fronte agli ondeggiamenti del suo interlocutore. Non lo ha smosso nemmeno il tentativo fatto recentemente dal presidente francese Emmanuel Macron di riaprire un canale di comunicazione diretta tra l’Europa e il Cremlino. È abbastanza chiaro che se gli Stati Uniti non assumono una posizione di fermezza con la Russia, per portarla al tavolo di una trattativa seria, non si vedranno cambiamenti nella situazione in corso.

L’Amministrazione repubblicana ha dimostrato nel caso dell’Iran la capacità di decidere in tempi rapidi – seppure orchestrando un diversivo per disorientare il nemico – e di agire con determinazione anche dal punto di vista bellico. Non si auspica, ovviamente, che Washington entri in campo a fianco dell’Ucraina. Il punto è evitare che una partita più ampia – che per Trump coinvolge la Cina e la Russia – sia condotta sulla pelle del popolo ucraino, lasciato in attesa di evoluzioni nel grande gioco tra leader mondiali. L’Europa, superando le sue divisioni, ha pertanto il dovere di continuare ad alimentare le possibilità difensive di Kiev e di premere su Mosca perché non pensi che il tempo lavora a suo favore e possa dunque solo fingere di valutare proposte di pace, in attesa di una vittoria sul campo. L’iniziativa bellica è infatti tornata in mano russa: da metà maggio è stata lanciata un’“offensiva d’estate” che ha permesso all’Armata di conquistare circa 400-560 chilometri quadrati solo in giugno, il ritmo di avanzata più rapido da oltre un anno, con la concentrazione di oltre centomila soldati sull’asse Pokrovsk Kostiantynivka e un impiego massiccio di velivoli d’attacco senza pilota. Se gli aiuti Usa riprenderanno a regime entro agosto, si può prevedere un riequilibrio e il ritorno a un fronte piuttosto statico simile a quello di fine 2024. Se invece il blocco dovesse prolungarsi, le forze di Mosca potrebbero puntare a chiudere l’arco Vovchansk Pokrovsk entro l’inverno, con un forte impatto sulle capacità logistiche di Kiev.
Il rischio è di assistere ad altre telefonate di facciata, mentre a migliaia di chilometri di distanza si continua tragicamente a combattere e a morire.

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