Storia di razzismo, sport, buoni maestri Tutto comincia dal rispetto: tocca a noi
giovedì 7 novembre 2019

Gentile direttore, ho un figlio di 14 anni, originario del Burkina Faso, che gioca in agonismo presso una squadra degli under 15 nel Torneo Regionale del Lazio con la squadra San Paolo Ostiense di Roma. Domenica scorsa, alla fine dell’ultima partita contro il Jem’s è stato oggetto di un episodio di razzismo da parte di un ragazzo della squadra avversaria. Una ragazzata, si potrebbe dire, una frase detta con leggerezza, su cui si poteva anche passar sopra. Come genitori non siamo intervenuti e abbiamo auspicato che ci fossero dei provvedimenti da parte dei dirigenti delle squadre. Dopo qualche giorno tutti i ragazzi della Jem’s con i loro dirigenti, circa 30 persone in tutto, hanno rinunciato ai loro allenamenti e sono venuti a scusarsi ufficialmente con mio figlio e la sua squadra. La delegazione era capitanata da Simone Perrotta, campio- ne del mondo 2006. La domenica successiva come penalità la squadra non ha giocato il torneo e ha quindi perso altri punti sul campionato. Le parole, hanno conseguenze e mi complimento per i provvedimenti presi dai dirigenti delle squadre che hanno dato un chiaro segnale educativo e di reale, civile convivenza. Chi sminuisce i fatti di razzismo, venuti nuovamente alla ribalta con l’episodio di Balotelli, è complice e alimenta il clima di razzismo che si respira in questi ultimi tempi anche in Italia. Lo sport deve essere il luogo dell’integrazione e della sana competizione. Forse il grande Campionato Nazionale dovrebbe imparare qualcosa dal più modesto Campionato Regionale, magari prendere qualche provvedimento e riaffermare così l’immagine migliore della nostra Italia.

Michelangelo Bartolo

Grazie davvero, gentile signor Bartolo, per questo racconto asciutto ed efficace di una storia a due facce: una vicenda di ordinario razzismo e, al tempo stesso, di resistenza umana e civile a questa ottusa volgarità, piccola quanto si vuole, quando è piccola, ma mai minima e mai minimizzabile. Condivido – come immagina – ogni sua parola, e faccio miei i suoi sentimenti, la sua indignazione e, soprattutto, la sua speranza. Le confesso che il limpido gesto di riparazione nei confronti di suo figlio compiuto dai ragazzi under 15 della scuola di calcio romana Jem’s e dei loro dirigenti-educatori (definizione in questo caso del tutto appropriata) mi rincuora e mi mette allegria tanto quanto quello, altrettanto eloquente e forte, dei “pulcini” dell’Aurora Desio, che nel Milanese, dopo l’insulto di una mamma- ultrà a un compagno di squadra, hanno deciso di giocare le prossime partite di calcio tutti con le facce dipinte di nero. C’è un’Italia che non si lascia trascinare lungo la china odiosa della xenofobia e del razzismo che è facile tanto quanto triviale, ma non è affatto irresistibile. Anche se continua a sfregiare il volto dell’altro e quello del nostro stesso Paese. E quest’Italia – l’Italia sua, di sua moglie e di suo figlio, dei giovani calciatori romani e milanesi, di Simone Perrotta e di altri buoni maestri di sport e di vita, di insegnanti e di imprenditori coraggiosi, di volontari generosi, di politici puliti – è vera, grande e piena di speranza e di coraggio. Dobbiamo continuare ad avere cari e a spendere senza esitazioni l’uno e l’altra, coraggio e speranza, e dobbiamo metterli in campo. Nei campi di gioco e in quelli della vita di ogni giorno, dove portiamo tutti maglie personali e spesso assai diverse eppure vinciamo solo quando sappiamo far squadra e quando ci incontriamo e confrontiamo rispettandoci l’un l’altro. Non c’è amore e non c’è grandezza che non cominci dal rispetto. Tutto comincia dal rispetto: nello sport, nello studio, al lavoro, in famiglia... Bisogna saperlo dimostrare ai nostri figli. Così come spetta a ciascuno di noi, e non abbiamo alibi per non fare la nostra parte, di aiutare i più giovani a capire e gli smemorati a ricordare che la pelle degli uomini e delle donne è importante, come ogni parte di noi, ma nulla dice in più o in meno di ciò che siamo e di ciò che valiamo. Grazie ancora, caro amico, e dia un abbraccio a suo figlio da parte mia.

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