Stop caos-tv sui baby-vaccini: prendete per mano i genitori
giovedì 16 dicembre 2021

«Lei non sa nulla, zero!», sbotta in tarda serata, a 'dimartedì' su La7, il medico e sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri. I toni in studio si sono alzati quando, parlando di vaccinazioni ai bambini, il docente di Filosofia morale dell’Università degli Studi di Milano Andrea Zhok ha iniziato a sostenere una tesi abbastanza diffusa tra chi mette in dubbio la necessità delle somministrazioni sui più piccoli: che con questi ultimi, cioè, il Covid è più buono. Non si ammalano, «al massimo un raffreddore». «Qual è la maggiore emergenza nelle terapie intensive pediatriche oggi invece? Diciamolo!», incalza il filosofo (riferendosi, per chi tra i telespettatori è già informato sopra la media, all’epidemia di virus sinciziale in atto in molte città italiane). «Lei non sa quello che dice – sbotta a questo punto il sottosegretario –, ci sono bambini intubati a Napoli, bambini di un chilo e mezzo!». I microfoni vengono silenziati, in sottofondo fioccano urla e insulti mentre il conduttore Giovanni Floris cerca di smorzare i toni: 'Sono convinto non sia il modo di togliere i dubbi, insultarsi'. E il giro di opinioni ricomincia da Pierluigi Bersani, senza che nessuno spieghi né del virus sinciziale, né dei bambini intubati a Napoli, né del perché qualcuno seduto dall’altra parte dello schermo dovrebbe decidere di vaccinare o non vaccinare il proprio figlio.

Che l’andazzo dei dibattiti tv sul Covid nelle ultime settimane sia questo, è ormai fatto acclarato: politici e accademici si prestano sempre più spesso a liti plateali, con tanto di attacchi personali ed epiteti scurrili degni dei peggiori reality show. Lì dove – questo è il punto insopportabile – i comuni cittadini spererebbero di capirci qualcosa, di ottenere qualche informazione chiara, di poter sciogliere i dubbi e le incertezze alimentati durante il giorno dai social network e dalle chat e arginati a stento dall’informazione di qualità dei giornali. E invece no, informarsi sembra diventato un’impresa. Proprio nel momento in cui il Paese di informazioni solide ha bisogno più che mai.

Il via libera alle somministrazioni nella fascia 5-11 è forse il momento più delicato che abbiamo vissuto da quando sono stati scoperti e approvati i vaccini anti-Covid, poco meno di un anno fa: «Io non ho avuto nessun problema a vaccinarmi, credo profondamente nella scienza, mi sono prenotata subito per la terza dose – usiamo lo sfogo di una mamma qualsiasi, in uno dei migliaia di dibattiti improvvisati davanti alle scuole italiane –, ma per il mio bambino ho paura». Non c’è ideologia no-vax nelle preoccupazioni di tanti genitori, non c’è astio o desiderio di ribellione 'al sistema': queste mamme e questi papà chiedono solo ascolto, e risposte. Informazione, insomma. «L’ho appena vaccinato per morbillo, parotite e rosolia, cosa faccio col Covid?». «Ho sentito dire che questi vaccini potrebbero bloccare lo sviluppo, che sono stati testati su pochi bambini. È così?». «Non posso aspettare ancora un po’? Dicono che il Covid ai bambini non fa niente...». I documenti delle società scientifiche, a cominciare da quella che riunisce i pediatri, rispondono a questi quesiti: sono reperibili online, vengono di sovente rilanciati dai siti dei quotidiani, citati dai veri esperti nelle interviste. I numeri in crescita dei contagi tra i più piccoli, dei ricoveri (anche in terapia intensiva) vengono snocciolati e aggiornati di settimana in settimana dall’Istituto superiore di sanità. Ma non basta. Non basta a chi non ha tempo per leggere o documentarsi, per chi non ha gli strumenti materiali e culturali per farlo, per il pezzo di Paese e più che non ha internet e al mondo si collega ancora tramite la tv. Non è un caso che il boom di prenotazioni per i baby-vaccini sia stato registrato finora soltanto al Nord e al Centro, nelle grandi città soprattutto, e che invece la risposta del Sud sia ancora timidissima (un primo allarme è stato lanciato dal governatore della Campania De Luca proprio in queste ore: appena 4mila le adesioni, su una platea di 400mila bimbi).

Serve allora ripulire gli studi televisivi e farli tornare, tutti, chiunque sia l’editore, servizio pubblico. Serve uno sforzo generale per spiegare se e perché vaccinare i bambini – e vaccinarli subito – è «un atto di amore», come ripete da giorni il coordinatore del Cts e grande pediatra Franco Locatelli. Serve una campagna capillare e seria, portata avanti da tutti gli attori istituzionali con responsabilità. E poi, lontano dagli schermi, serve ancora di più: che i medici di base e i pediatri – oberati di lavoro e spesso impossibilitati, sì, a rispondere al telefono o a moltiplicare gli incontri in studio – si facciano presenti. Le famiglie devono essere prese per mano e accompagnate. Per il bene dei più piccoli tra noi.

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