Stiamo tornando cattivi e più egoisti? Una domanda fatta per essere smentita
sabato 11 luglio 2020

Caro direttore,
dunque nessuna esperienza, nessun vaccino è bastato. Nessuna sofferenza comune sembra esser stata sufficiente. Torneremo cattivi, ci sono già evidenti avvisaglie. Lo vediamo, lo ascoltiamo. Sarà nei fatti, se non proviamo a scuoterci. E non sarà solo grazie ai soliti irriducibili che sono persi per sempre. Per loro la malattia, la cattiveria, è un fenomeno irreversibile. Cresce di continuo in una metastasi incontrollabile. Piuttosto per quanti di noi pensavano, dopo una così lunga traversata del deserto, di esser cambiati. Di aver trovato in quelle lunghe giornate chiusi in casa un nuovo equilibrio, una sistemazione più adeguata alla propria coscienza. Apaticamente, invece, forse in risposta alla continua e ormai sostanziale sparizione delle misure di restrizione, la cattiveria torna a riguadagnare terreno. Pare, sperando di sbagliare, che questa innata disposizione a far del male a quanti ci circondano stia riemergendo forte. E se cattiveria è parola che sembra antica e magari riservata a qualche ragazzaccio, ci spingiamo a dire egoismo, convinti di rendere meglio l’idea. Sì, perché adesso che il virus sembra un poco allontanarsi si vedono gli effetti che riemergono di nuovo: "Io voglio, io sono per primo, io conto più di te, il mio pensiero è quello giusto, il mio sacrificio è stato più grande, la mia categoria, la mia ricchezza perduta o intaccata conta di più della povertà degli altri"... Non occorre cercare nei titoli dei giornali, nei servizi televisivi, nelle prime chiacchiere fatte a distanza regolamentare: basta guardare dentro di noi per vedere quello che succede. Basta anche solo un attimo di concentrazione per veder riflessi in questo nostro caro, carissimo "io" quel che invece ci risulta così facile vedere negli altri. Ma non tutto è perso. C’è ancora qualche cosa che resiste, che ci impedisce di precipitare nel vuoto. Proviamo a resistere, proviamo a far vedere che è possibile esistere. Proviamo, per scuoterci un po’, a farlo tenendo a mente, magari, quel che a proposito ebbe a dire la grande Alda Merini: «La cattiveria è degli sciocchi, di quelli che non hanno capito che non vivremo in eterno». Un caro saluto confidando di esser stato pessimista...…

Luca Soldi


Gentile direttore,


il buio incombe su questa umanità che finora ha ritenuto di poter dominare tutto, padrona del mondo e della sua stessa vita. E siamo tutti in spasmodica attesa della luce, ma quale sarà il dopo, non solo quello che si spiegherà sulle macerie materiali, ma soprattutto il dopo interiore che ci attende e che dovrebbe in noi rigenerarsi? Dovremmo imparare molto dall’immane lezione di umiltà che la pandemia ci ha impartito, e soprattutto a considerarci per quel che realmente siamo: dei puntini appena visibili in una galassia in cui sarà sempre più difficile non scrutare l’imperscrutabilità di Dio. Per il credente la spiegazione più convincente è che Dio è vicino a ogni uomo che soffre... Ma come reagiremo tutti noi all’imbocco della luce? Io, che ho purtroppo fatto del pessimismo la cifra della mia vita, ritengo che è nella natura umana dimenticare le tragedie passate per riprendersi appieno la vita di sempre. Sta già accadendo... E invece dovremmo scoprire il vero valore del sacrificio, delle privazioni e della povertà, del "felici con poco e infelici con molto", imparare a capire che la felicità è una piccola cosa. Dovremmo guardarci l’un l’altro con sguardi più sereni e meno rapaci, tenderci le mani con meno infingimenti. Pensare che basta una scossa per annientarci fisicamente e cancellare ogni vanità, basta un virus, qualcosa di cui non conosciamo quasi niente, per polverizzare il nostro narcisismo vanesio. Tutto si può perdere in una frazione di secondo! Dovremmo... Dovremmo, più che tendere alle sirene del materialismo e alla futilità e agli inganni del consumismo, guardarci e parlarci dentro, nelle pieghe di quell’animo che custodisce ogni valore più autentico. Il seme di quella speranza che Aristotele definiva «un sogno fatto da svegli» è questo. Ma temo, e vedo, che dopo tanta compressione di privazioni e dopo tanto isolamento il nostro ego di esseri fragili stia scattando come una molla tenuta forzatamente a bada. Rinnovando, ancor più marcate, debolezze e miserie.

Edgardo Grillo​


Ho scelto e accostato due lettere, argomentate, intense, allarmate. E convergenti nel manifestare un timore di fondo in forma di serissima domanda: stiamo tornando cattivi e più egoisti? Una domanda, lo dico subito, che per me è fatta solo per essere smentita. E non con la retorica vuota del "niente sarà come prima", ma con l’umanità plenaria di una serena assunzione di responsabilità personale e comunitaria.

Mentre ci inoltriamo nel cuore dell’estate mediterranea, la fase acuta della tempesta sanitaria scatenata dalla pandemia da coronavirus sembra passata, ma cresce la sensazione che per tanti, per troppi, sia anche passata invano. E questo nonostante sia impossibile, qui in Italia, non rendersi conto delle ferite aperte nel corpo vivo di una società segnata e impoverita dalla marginalizzazione di tante esistenze di uomini e donne scartati da un sistema ancora più in crisi. Se allarghiamo appena un po’ lo sguardo al mondo, poi, la lezione è altrettanto incisiva: sconvolge e indigna, chi ha testa e cuore, lo spettacolo amaro e triste che continua a dare l’irresponsabilità calcolata eppure menefreghista di leader incapaci di prendersi cura del proprio popolo. Queste cicatrici infinite volte riaperte sono anche le nostre, di ognuno di noi, come papa Francesco non cessa di ricordarci. E si sovrappongono drammaticamente a quelle prodotte dall’incuria per i poveri, per la cura della nostra «casa comune», per la difesa delle autentiche libertà fondamentali e l’affermazione dei diritti e doveri di ogni essere umano.

Questa storia dura del Covid-19 non è finita, purtroppo. Teniamolo a mente e regoliamoci di conseguenza. Per non imboccare quasi per inerzia vie di ritorno a illusioni egoiste di pessima, non solo cattiva, qualità. Gli egoisti, anche se convinti del contrario, sono i primi a rimetterci, perché sono irrimediabilmente soli e sono già ammorbati e moribondi anche prima di essere dichiarati "positivi" al virus del momento. Ma hanno la grande chance di uscirne con la più semplice e definitiva delle cure e il più efficace dei vaccini: ascoltare la coscienza e la Voce che in essa parla. È il primo passo per imparare a riconoscere e amare il segno di fraternità che unisce ogni anima. Per rendersi conto che la solidarietà e la bontà sono concrete e solide vie di salvezza e che il bene fatto e accettato è chiave di eternità. Pur se siamo vulnerabili e mortali, pur se sappiamo di non essere eterni. Ma tutti, anche chi non crede nel Dio-Amore pienamente rivelato in Gesù Cristo e nell’infinita grandezza della scintilla di Dio che è in noi, possiamo arrivare a comprendere che il bene salva, perché ciò che di giusto e di buono facciamo con la nostra vita non muore e continua negli altri. È questo che ci spinge avanti, e mai indietro. Il pessimismo reclama spazio, ma non lo merita. Forza, c’è tanto da vivere e da fare.

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