Stare davanti alla morte senza rassegnazione
mercoledì 13 settembre 2017

Pozzuoli come Livorno. Papà e mamma muoiono cercando di salvare il figlio undicenne che era caduto nella solfatara, e questi muore con loro. Come due giorni prima, a Livorno, dove un nonno e un papà erano riusciti a salvare una figlia e poi erano morti nel tentativo di salvare l’altro figlio che non ce l’aveva fatta. Ed erano rimasti incastrati con lui nel fango che ormai riempiva l’appartamento. Mors et vita duello conflixere mirando canta la Sequenza pasquale: e cioè la morte e la vita hanno combattuto un mirabile duello. Duello che nella fede della Resurrezione vede vincente Cristo, Colui che regna da vivo. Ma che nel qui della storia vede vincente la morte: peraltro dolorosissima quando è piena di non senso come in questi casi. Da molti anni aborrisco coloro che con la fede vogliono spiegare tutto, vogliono dare senso al non senso, vogliono togliere le lacrime al pianto. Cristo, pur essendo Dio e ben sapendo che avrebbe fatto risorgere Lazzaro, di fronte alla morte dell’amico scoppia in un pianto ben irrorato di lacrime. «Gesù quando vide piangere Maria, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato domandò: Dove lo avete posto? Gli dissero: Signore, vieni a vedere. Gesù scoppiò in pianto» (Gv 11, 33-35). La fede lascia che il mistero del dolore rimanga tale. Parlare in termini esagerati di una fede che illumina il buio del male, può portare chi soffre ad allontanarsi ancora di più dalla fede.

Perché, anche se era credente, mentre constata nella propria vita il permanere del dolore lacerante, del morso del non senso, dei perché che non hanno risposte e gridano, può convincersi di non esserlo più, credente. O che forse non lo era mai stato. E così divenire ateo a propria volta. Chi troppo frequentemente ha sulle labbra la “spiegazione” della fede quando incontra chi soffre, mi induce a pensare che costui voglia in realtà allontanare chi soffre da se stesso. Perché chi soffre fa soffrire chi ha vicino. Non si può stare vicino a chi soffre e rimanere tranquilli, e non soffrire. Se sto vicino a chi ha caldo mi scaldo e se sto vicino a chi ha freddo mi raffreddo. È legge di natura che se si sta vicini, vicini davvero – non vicini ma in realtà vicini separati da protezioni adeguate ... – si diventa come il vicino. Se si sta vicino al prossimo gli si sta accanto, cioè prossimi, cioè uguali. Cioè freddi col freddo, caldi coi caldi, doloranti coi dolorosi. È una delle fatiche più grandi per noi preti passare nel giro di poche ore da un matrimonio, a un funerale, a un battesimo. Accogliere il dolore di una vedova e, il minuto dopo, la gioia di una donna che ha scoperto di essere in attesa. Maria ci insegna che di fronte al dolore “insensato” – sia quello personale che quello del mondo – accanto al dolore che non si può spiegare e che a volte neppure è possibile consolare, si può solo “stare”. E, se possibile, stare insieme. Sopportare insieme il peso di un Mistero che, nel qui di ora, è senza risposta. Essere come il seme posto sotto il cumulo della terra e confidare che dalla propria morte visibile verrà una Vita che ora però è invisibile. Terremoti, alluvioni e solfatare sono in parte imprevedibili. Per la parte imprevedibile Maria ci insegna a “stare”. Ma per la parte di tragedia che si può prevenire e rimediare, Maria ci insegna a prevenire a rimediare. Come Lei ha fatto a Cana. Perché “stare” non significa dimenticare che sopra la Croce c’è – e c’è sempre – un uomo.

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