domenica 13 maggio 2012
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Una delle più belle immagini della madre che conosco è quella di De André nella sua Ave Maria: «Ave alle donne come te Maria, femmine un giorno e poi madri per sempre, nella stagione che stagioni non sente». In un mondo in cui tutti sono disperatamente alla ricerca di ruoli, di profili interessanti, di riconoscimento, e in cui ci si aggrappa all’unica fonte di identificazione che sembra rendere possibile la propria desiderabilità sociale, ovvero la giovinezza, il grottesco è sempre in agguato, ma soprattutto lo è l’infelicità, individuale e collettiva. La sensazione, guardandosi intorno in questo tempo così difficile e per molti drammatico che definiamo col termine sintetico di 'crisi', è quella di essere stati ingannati. Dai racconti su una libertà dallo sguardo corto e dai confini stretti, coincidenti col perimetro dell’io; da un’idea del legame come vicolo limitante la libertà, e quindi nemico della felicità; più in generale, dal rifiuto di ogni limite – nella relazione come nella crescita economica – come inutile pastoia all’espansione. Quella che è stata definita «la società eccitata» in un recente saggio filosofico, scivola molto rapidamente nella società grottesca: dove gli adulti, per dirla con lo psicanalista Luigi Zoja, sono degli eterni lattanti psichici, dipendenti da ciò che li fa 'stare bene', consumatori compulsivi occupati a prendere e dimentichi di dare. E il passo successivo è quello della società depressa, quando non disperata. In questo quadro la figura della donna emerge con tinte non molto attraenti. Basta sfogliare le riviste femminili, guardarsi intorno mentre si cammina per le città, o si attraversano gli aeroporti; o seguire nel tempo le parabole esistenziali di quelle che per qualche momento sono state star, idoli, modelli di riferimento, e il cui declino, quando non drammatico in modo eclatante (penso, tra i tanti, al caso di Withney Houston), cade nell’ombra, oscurato dal passaggio altrettanto veloce di sempre nuove meteore. Il messaggio che il contesto rimanda alle donne è molto elementare: devi essere giovane, bella, e saper sedurre. Quanto dura questa stagione? 10 anni, 20? Con la chirurgia magari 25... Il tentativo di prolungare artificialmente questa fase 'di transito' (peraltro così riduttivamente presentata) della femminilità, trasformandola – direbbero gli antropologi – da 'liminale' (il momento di passaggio a una nuova fase) a 'liminoide' (una fase sospesa e irreale che non genera nessun cambiamento e alla fine si dissolve lasciando il vuoto) ha prodotto effetti grotteschi. O drammatici. E non è un discorso moralistico, ma banalmente estetico. E, se si vuole essere un po’ più profondi, antropologico. Io credo che alle donne sia stata regalata una possibilità di identificazione straordinaria, solida ma nello stesso tempo aperta. Vincolante (ed è solo nel legame che si realizza la libertà, lo sapevano gli antichi per i quali è lo schiavo a non avere legami), ma nello stesso tempo passibile di una interpretazione creativa, che valorizza la singolarità di ciascuna. Quel 'protagonismo debole' che fa essere e crescere la realtà ricevuta in dono, che sa 'coltivare e custodire', che è capace di uno sguardo attento e sollecito che da nessun’altra prospettiva è possibile allo stesso modo; che sa dar spazio alla forza della vita, anche quando tutto intorno sembrerebbe spingere alla rinuncia. Che conosce la tenacia della speranza anche contro le evidenze. Una tenacia che produce tanti miracoli silenziosi. E, soprattutto, che non è effimero, caduco, legato all’efficienza delle prestazioni. Che costruisce l’io relazionale a cui oggi si deve tornare se non si vuole dissolversi con le ceneri dell’io assoluto. E che lo costruisce in modo stabile, come un capitale identitario che nessuna crisi può mettere in pericolo, ma che anzi diventa una risorsa a cui guardare nel momenti di difficoltà. Una risorsa materiale e un modello antropologico. La maternità non è un diritto, è un dono. E il figlio che accogliamo ci regala una identità generativa che nessuno ci può togliere, che dobbiamo imparare a valorizzare e che, in un mondo dove tutto muta con la velocità delle scoperte tecnologiche rendendo irrilevante tutto quello che 'rimane indietro', non ha stagione.
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