giovedì 25 agosto 2016
Il terremoto: spinti e guidati da una strana forza
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Il terremoto si è presentato alle 3 e 36 di notte, l’ora più subdola: quando anche gli ultimi insonni si sono addormentati, e ancora è presto perché si alzi, chi lavora all’alba. Nei paesi quieti e inermi, nelle stanze tiepide di calore e di respiri è irrotto l’urlo del sisma: quel boato, quel gemere sinistro di muri e fondamenta che nessuno dimentica, quando lo ha sentito una volta. Poi, nelle piccole vecchie case dell’Appennino è stato facile annientare e distruggere. Pietre e fango e legno, tutto è stato stritolato come da una terribile morsa. È una bestia, il terremoto, una fiera che si accanisce sui più deboli. E giù allora i vecchi campanili, incrinato l’ospedale pieno di malati, giù le casette dei nonni che per l’estate ospitano i nipoti bambini. Appena terminato quell’urlo di inferi, ci immaginiamo il silenzio, un terribile silenzio sopra le rovine. Ancora una volta gli uomini in questa nostra terra sono stati presi in ostaggio di una forza antica e tremenda, di molto più potente di loro: forza di abissi, di faglie che si lacerano e strappano le strade e i paesi – che appaiono, con le loro case, così piccoli sulle colline, quasi giochi da bambini. Le prime luci dell’alba hanno illuminato la catastrofe: ponti interrotti, mura divelte, case svuotate come sacchi, dalle cui macerie spuntano, nel caos, le povere quotidiane cose. È davvero come se una gran mano di bestia fosse passata sopra a quei paesi, sbriciolandoli, ma lasciando intatti piccoli oggetti – quaderni, soprammobili, bambole – a ricordarci crudelmente quanta vita c’era fra quelle pietre, appena un giorno prima. Quasi in un’irrisione: guardate cosa resta dei vostri beni e dei vostri affanni, se appena si sveglia il gigante nemico. Per contro, però, a questa atroce esibizione di forza bruta, ancora una volta e quasi subito è corsa anche l’altra notte fra gli uomini una forza, debole forse, ma tenace e determinata, di segno opposto. E, usciti a fatica dalle case crepate – quei lunghi segni maligni e neri come artigli lungo le facciate – i vivi, subito, si sono messi a scavare. Perché tra le macerie si sentivano grida, voci, fievoli magari, e sommerse da travi che appariva impossibile spostare. Ma c’è una strana forza negli uomini, nelle ore disperate, che sorpassa ogni loro debolezza, e imperiosa li spinge a salvare vite. Gente che avresti detto magari pigra, o rassegnata, d’improvviso non può restare inerte, e si mette a scavare a mani nude. Come è accaduto l’altra notte a Pescara del Tronto, paese sbriciolato, davanti a una casa crollata da cui venivano a tratti voci di bambini. E allora tutti quelli che c’erano si sono messi disperatamente all’opera. E come avranno fatto, senza attrezzi, a sollevare massi e travi? Ma hanno tirato fuori, vivi, due bambini di quattro e sei anni, e il papà Mauro e lo zio Riccardo quasi morivano dalla gioia. E così, pure nella paura di una seconda scossa, fra le strade spezzate e i mezzi di soccorso bloccati, nel caos, nel ronzare metallico delle seghe elettriche e nei morsi delle ruspe, piccoli episodi di quell’altra tenace forza degli uomini si sono ripetuti. Come a Amatrice, dove una donna di 97 anni è stata estratta viva dalla rovina della sua casa, e piangeva – come si può piangere quando tutto il tuo mondo è finito per sempre. Eppure nella tragedia qualcuno ha trovato il tempo di fermarsi e di consolarla, come si consola una bambina.  Oppure ancora a Pescara del Tronto, il paese più massacrato, dove il corpo di una donna anziana spuntava fra i monconi dei muri della sua casa. Sembrava un braccio inerte, e invece con stupore i soccorritori si sono accorti che la donna era viva. E allora che paziente dialogo tra la vecchia sconosciuta e un giovane arrampicatosi fra le macerie: signora, stia tranquilla, ora vengono i vigili del fuoco a salvarla, non le faranno male. E la donna, da sotto la polvere, con un filo di voce: va bene, aspetto, è solo che mi scappa... E il ragazzo: signora, non si preoccupi, guardi, io mi allontano un momento, si lasci andare, la faccia... Due sconosciuti con settanta anni di mezzo, che dialogano come una nonna e un nipote. Anche questa è la strana forza che sale tra le macerie, quando tutto sembra perduto: una tenerezza mai vista, una potente passione alla vita, anche a quella dell’altro che non hai mai conosciuto. Come se la bestia degli inferi venuta fuori dalla tana d’improvviso, in un istante, non avesse in realtà l’ultima parola. Un’immagine di ieri dal Reatino mostra una soccorritrice che stringe in braccio un cane coperto di calcinacci, terrorizzato, fuggito chissà come dalle macerie. In certe ore tragiche la tenerezza degli uomini arriva anche agli animali, come fossero fratelli più piccoli, di tutto ignari, anche loro da proteggere. E chissà che quel cane ritrovato non faccia la gioia del bambino che lo crede perduto? Intanto, in tv si vedevano i video girati dal cielo, dagli elicotteri, a raccontare i paesini stritolati nella morsa di una mano d’acciaio, le pievi crollate, le strade spazzate via.  A guardare dall’alto e da lontano è davvero bestiale l’opera di morte venuta dal sottosuolo, e, indiscutibilmente, di molto più potente dei piccoli uomini. E però quelle mani nude a scavare, con le unghie sanguinanti, tenaci dietro a una voce affievolita; quelle parole di consolazione e coraggio sussurrate a nonne sconosciute. C’è una piccola enorme forza che entra in gioco in notti come queste, e si chiama speranza. Il poeta Charles Péguy scriveva che la Speranza è come una bambina da niente, in confronto alle sue sorelle Fede e Carità, e che però le spinge e le conduce. Così come conduce gli uomini, in certe ore di certe notti di inferno: con quale potenza li trascina.
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