venerdì 11 marzo 2011
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Se la nostra diplomazia economica riuscirà a fare emendare il "patto per la competitività", proposto da Francia e Germania, eviteremo la necessità di una manovra di finanza straordinaria per ridurre disavanzo e stock di debito pubblico.Scanseremo la tanto paventata "patrimoniale" che potrebbe innescare una crisi di fiducia nei confronti dell’Italia.Non per questo, però, potremo stappare bottiglie di prosecco. Esaminando i dati dei conti territoriali dell’Italia, infatti, ci si accorge di come le varie terapie adottate negli ultimi lustri abbiano avuto risultati ben inferiori a quelli auspicati. Lo spettro di misure di finanza straordinaria, perciò, resta sempre presente. Nel periodo 1996-2008 in cui il Pil aumentava complessivamente del 156,75%, la spesa delle pubbliche amministrazioni centrali dello Stato e degli enti locali cresceva di ben il 225,76%. Nonostante i blocchi alle assunzioni, il contenimento di salari e stipendi, l’utilizzo del 'metodo Gordon Brown' del 2002-2006, le 'revisioni di spesa' e i tagli 'lineari' in atto dal 2008, la spesa per gli apparati politici e amministrativi è aumentata ad un tasso quasi doppio di quello della produzione di beni e servizi. Se invece le misure adottate avessero avuto unicamente l’esito di allineare la crescita della spesa per amministrazioni a quella del Pil, quest’anno la spesa pubblica sarebbe inferiore di ben 30 miliardi di euro (2 punti percentuali di Pil) con un miglioramento significativo della posizione dell’Italia sia in termini di rapporto deficit/Pil sia di andamento del rapporto tra stock di debito e Pil. L’aumento della spesa 'amministrativa' è stato più rapido nelle Regioni 'forti' che in quelle "deboli".Probabilmente perché nelle Regioni "forti" le amministrazioni centrali hanno inteso avere la strumentazione per controllare il decentramento. Un proposito in contrasto sia con l’esigenza di frenare la spesa sia con gli obiettivi stessi di trasferimento di funzioni dal centro alla periferia. In secondo luogo, se allo stock di debito pubblico ufficiale si aggiungesse il "debito occulto" come i crediti nei confronti di imprese e di individui, il rapporto rispetto al Pil aumenterebbe di sei punti percentuali, arrivando attorno al 125% (secondo un’analisi dell’associazione di ricerca Astrid). Le cifre sarebbero ancora maggiori se si aggiungessero le stime dei rimborsi Iva. Cosa fare? Realisticamente è difficile pensare ad una drastica riduzione degli apparati pubblici anche perché, se pure a livello politico si decidesse di tagliare, resterebbe il problema di assorbire i dipendenti in esubero. Nel resto del mondo, però, due metodi si sono rivelati efficaci per il contenimento effettivo della spesa. Il primo, applicato negli Stati Uniti, prevede l’obbligo di una rigorosa analisi costi-benefici dei provvedimenti con controlli incrociati delle valutazioni dell’esecutivo e del Parlamento: la misura è stata introdotta dalla prima amministrazione Reagan e da allora non è stata mai modificata né da nuovi inquilini della Casa Bianca né dalle maggioranze che si sono avvicendate a Capitol Hill. Il secondo metodo è stato invece applicato in Francia. È il programma della razionalizzazione delle scelte di bilancio con il quale si è portato il Paese all’accordo del Louvre del 1987 (nel quale si sanciva un tasso di cambio fisso tra franco e marco tedesco). In base al programma, le analisi delle pubbliche amministrazioni su come ridurre i costi dovevano essere pubblicate ed erano oggetto di dibattito pubblico. Queste delle verifica e del dibattito trasparente sono le strade che varrebbe la pena tentare di battere anche da noi.
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