venerdì 16 aprile 2010
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Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini sono arrivati all’orlo della rottura irreparabile, se è vero – come pare – che il presidente della Camera ha parlato nell’incontro con il premier della "secessione" dei suoi sostenitori dai gruppi parlamentari del Popolo della libertà, ricevendo come risposta la richiesta di dimettersi dalla sua carica. Successivamente si è cercato di gettare acqua sul fuoco da ambo le parti, Fini ha ribadito il diritto di Berlusconi di portare a termine la legislatura e l’esigenza di rafforzare, non di distruggere, il partito che è stato fondato dalla coppia degli odierni antagonisti, Berlusconi ha negato di aver chiesto a Fini di lasciare la poltrona più alta di Montecitorio.Comunque vada a finire, è chiaro che la navigazione nell’ultima fase della legislatura, che appariva abbastanza tranquilla dopo l’esito delle elezioni regionali e amministrative, ritorna in acque assai agitate.Fini considera troppo stretto e in un certo senso subalterno il rapporto di Berlusconi con Umberto Bossi e intende esercitare nel partito una funzione determinante, anche e soprattutto sui temi della riforma istituzionale. Berlusconi sostiene che la discussione deve comunque avere come premessa l’accettazione, da parte di chi resta in minoranza nel Pdl, delle scelte che hanno ottenuto la maggioranza, il che confina i sostenitori di Fini in una condizione di inferiorità strutturale. L’ipotesi della costituzione di gruppi parlamentari autonomi sarebbe la conseguenza più traumatica di questa impasse attualmente insolubile. Berlusconi, a quanto trapela, si sarebbe dato un paio di giorni di tempo per fornire una risposta definitiva alle richieste del cofondatore del Popolo della libertà e, probabilmente, attende anche di conoscere la dimensione che assumerebbe l’eventuale secessione prima di prendere qualunque decisione. Altrettanto probabilmente, il presidente del Consiglio cercherà anche di convincere Bossi dell’esigenza di lasciare uno spazio sufficiente perché le esigenze politiche di Fini e dei suoi sostenitori incidano in qualche modo nelle scelte concrete della maggioranza. Il leader leghista è interessato alla continuazione di una legislatura che è nella condizione di portare a compimento la trasformazione federale del sistema fiscale e, forse, di quello istituzionale, e potrebbe quindi accettare una mediazione di Berlusconi, che in questo modo confermerebbe il suo ruolo di leader e punto di equilibrio della coalizione.Non si può neanche escludere, però, che le tensioni accumulate per mesi finiscano per mettere in moto un processo di rottura inarrestabile, con conseguenze difficili da valutare anche sul piano della stabilità del governo e della continuità della legislatura. Il presidente del Senato ha sostenuto che, in caso di rottura della maggioranza, l’unica risposta sarebbe il ricorso anticipato alle urne, e questo ammonimento fin troppo realistico potrebbe diventare il copione di una imprevista crisi politica dagli effetti dirompenti.
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