sabato 5 marzo 2011
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I l gusto di ridurre tutto a una battuta, oppure a titolare le prime pagine in funzione delle tante rassegne stampa delle televisioni, sta avendo come effetto uno scivolamento e, ancor più, una inesorabile forzatura degli organi di informazione 'tradizionali' verso un linguaggio fatto di spot, che non appartiene alla loro natura. Di anno in anno, infatti, si sta verificando sempre di più un appiattimento dei giornali sulle televisioni che di fatto li rende subalterni a quelle, se non addirittura superflui. I passaggi televisivi dei quotidiani, diversamente da quanto avviene per altri prodotti, non garantiscono in alcun modo un incremento della loro diffusione, mentre, al contrario, sono le televisioni che 'cannibalizzando' la stampa aumentano la loro audience.Le televisioni poi, assediate a loro volta dalla rete di internet, cercano di assumerne alcune modalità di comunicazione, ma senza ricavarne granché, mentre si rende sempre più evidente che questa rincorsa collettiva della comunicazione ottiene risultati non catalogabili e, comunque, imprevedibili. E non per caso oggi si parla di frammentazione dell’opinione pubblica, con la tacita ammissione che non tutte le opinioni siano conosciute e immediatamente individuabili. Il pericolo dell’omologazione culturale contro il quale Pier Paolo Pasolini mobilitò la sua intelligenza, oggi non è più raffigurabile in un unico Moloch da combattere, ma piuttosto in una galassia di suggestioni diverse (e spesso sotterranee) le quali pur esercitando una attrazione verso la condivisione di modelli culturali e di comportamenti, finiscono poi per annullarsi tra loro.Ed è uno dei paradossi di un presente nel quale al massimo di comunicazione mai raggiunto dalla storia umana, corrisponde una afonia culturale sempre più diffusa. Un sentimento che si potrebbe definire 'indifferenza informata', conseguenza forse dell’impossibilità dei singoli di costruirsi una opinione e anche di riconoscersi in quelle altrui.Da qui l’apparente disinteresse per la condivisione di progetti comuni e, in definitiva, per la politica che quelli dovrebbe governare, mentre covano sotterraneamente focolai di opinioni ad alto potenziale d’impatto emotivo e di mobilitazione. Del resto è comprensibile che una politica ridotta a spot pubblicitario, abbia difficoltà ad organizzarsi su obbiettivi meno effimeri della semplice battuta.Stiamo assistendo a fatti tutti importanti (e gravi) eppure fra loro incomparabilmente diversi: dal 'caso Ruby' alle stragi in Libia, dalle assurdità logiche prima che storiche, sull’unità d’Italia alla disoccupazione record dei giovani. Di fronte a questi eventi e alle enormità politico-sociali che segnalano e rivelano, c’è da chiedersi se basti l’indistinzione delle battute che confonde i politici con i comici e trasforma i comici in politici, e tutti gli altri cittadini in semplici spettatori di uno spettacolo abbastanza indecente.Non sarà per caso giunta l’ora per tutti di un po’ di serietà; di qualche cambio di passo (e passo indietro), di qualche battuta (più o meno spiritosa o corrosiva) in meno? Possibile che i giornali non ce la facciano a riprendere ruolo, stile e tono? E possibile che non ci siano più momenti e luoghi per pensare (anche politicamente) e per incontrarsi e parlare gli uni di fronte agli altri, senza confinarsi dietro lo schermo della televisione o di un pc? Alcuni vescovi, qualche tempo fa, proposero almeno in Quaresima un 'digiuno' della tv. È anche l’idea serissima dell’astensione e dell’astinenza da certi 'cibi'. E io, da cattolico semplice e da cittadino, dico che viene il tempo giusto per considerarla. Non per chiudersi in sé stessi, ma, al contrario, per ripartire.
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