giovedì 7 giugno 2012
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Caro direttore,
ci apprestiamo con timore alla terza settimana di passione in questa mia terra ferita: lunedì della settimana scorsa si era partiti con slancio, convinti di aver iniziato la risalita, poi il nuovo sisma... e ancora ci sono state altre forti scosse. Lo skyline del mio amato paese è cambiato per sempre, nell’aria la polvere delle sue pietre centenarie, i resti delle gloriose torri quattrocentesche, delle chiese, dei campanili... l’odore resta nelle narici e il cuore piange. Ma il tempo di pensare è poco: chi ha imparato a guardare all’altro come a un fratello corre per rispondere a tutte le domande, sollevare tutte le pene. Le telefonate si intrecciano, le mani si muovono frenetiche per riuscire a rispondere con giustizia e immediatezza a tutti i bisogni materiali, e c’è lo spazio della parola per capire i tanti immigrati, le loro paure e la loro storia ora che non ci sono più case, scuole, assistenza, lavoro. Alcuni rimpatriano.
 
Poi ci sono i nostri anziani, in questo mondo cambiato all’improvviso, ci sono i bambini che vivono ancora al margine del profondo mutamento, i padri e le madri di famiglia con l’incubo del lavoro perduto nel tempo della crisi globale. Molte variabili con le quali fare i conti per riscrivere, su nuove righe, una storia già millenaria. Ma siamo rinfrancati da una solidarietà che ha davvero raggiunto alti livelli di collaborazione: ragazzi che telefonano per conoscere i bisogni effettivi e raggiungere le zone più bisognose; volontari che si mettono a disposizione nel lungo periodo per le necessità meno immediate, la riscoperta del vicinato con le tavole allungate e le sedie in cerchio, a scambiare parole in una spontanea terapia di sostegno.
 
Eppure un silenzio sconosciuto pervade questo angolo di pianura, ricamato di chiese e oratori. Mancano i rintocchi della Torre dell’Orologio, icona mediatica di questo terribile evento, che scandivano le nostre giornate, in duetto con quelli della torretta del Municipio, definitivamente crollato con il sisma di martedì scorso. Ma ancora di più manca il suono gioioso delle campane del Duomo e delle chiese limitrofe che ricordavano la preghiera della sera, che sottolineavano il giusto riposo del mezzodì, che chiamavano alla festa la domenica. Come nel silenzio del sabato santo, la gente di questa terra attende. Quando le campane suoneranno ancora, non lo sappiamo, ma allora saremo certi di essere usciti dall’incubo.
Antonella Diegoli, Finale Emilia (Mo)
Quando il 26 settembre 1997, la mia Assisi fu colpita insieme con tante altre località dell’Umbria e delle Marche da un grave terremoto, ci tornai da cronista. E la cosa che mi colpì immediatamente, e di più, fu proprio il ritrovarmi dentro a una città “senza voce”. Apparentemente muta, senza il suono delle campane a ritmare le ore, le attività, la preghiera. Lei, cara amica, nella sua lettera–testimonianza mi riporta a quei momenti. Posso solo dirle che mi sforzai di ascoltare le altre voci della città, e le trovai. Posso solo confermarle che occorre rimboccarsi le maniche e avere fiducia, tenacia e mèta. Ricominciare. La voce – anche quella delle campane – si ritrova, l’incubo non dura.
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