Sì alle somministrazioni, no a fretta e impudenze
mercoledì 6 gennaio 2021

In Europa stiamo assistendo a una accelerazione dei tempi per la vaccinazione degli operatori sanitari e delle fasce di popolazione più esposte al Covid-19. Ed è bene cercare di contenere quanto più e nel minor tempo possibile la circolazione dell’agente virale. Questo non solo per le gravi conseguenze dirette della pandemia sulla salute dei cittadini e indirette sull’economia, la produzione, il commercio, la scuola e le attività sportive e ricreative, ma anche per ridurre l’insorgenza di varianti genomiche multiple che possono trasformarsi in nuovi ceppi di betacoronavirus dalle caratteristiche imprevedibili e potenzialmente più pericolose dell’attuale, sia in termini di infettività, patogenicità, virulenza e invasività, che di resistenza alla profilassi e alla terapia.

Dopo la corsa nella sperimentazione e approvazione dei vaccini (per ora, negli Usa e in Europa, non ordinaria, definitiva, ma solo «di emergenza », come dice la Food and Drug Administration statunitense, o «condizionata», secondo la European Medicines Agency), è scattata una corsa alla vaccinazione di massa? Ci auguriamo di no, perché nella medicina, come in altre attività delicate, di precisione e responsabilità, la fretta e il bene non si coniugano. Lo sanno i medici e gli infermieri che lavorano nei dipartimenti di emergenza e urgenza e nelle unità di pronto soccorso: contrariamente a quanto mostrano certe fiction televisive, tra le prime cose loro insegnate vi è quella di muoversi rapidamente ma senza cadere in agitazione, perché l’autocontrollo dell’operatore e la sicurezza nelle manovre durante un intervento valgono quanto la sua efficacia. Anche chi si occupa di politica e gestione della sanità pubblica non dovrebbe dimenticare la saggezza di ciò che l’esperienza sul campo insegna a chi presta assistenza sanitaria. Alcune notizie che giungono dal Regno Unito, sotto pressione per la diffusione esponenziale della nuova variante B.1.1.7 del coronavirus, non sembrano andare in questa direzione. L’Agenzia del farmaco britannica Mhra ha esteso a dodici settimane l’intervallo tra la prima

e la seconda dose di vaccino Pfizer-BioNTech, contro le tre settimane seguite durante la sperimentazione di Fase 2-3 dello stesso vaccino, sulla base dei cui risultati di sicurezza ed efficacia (a tre settimane) era stato approvato negli Usa e in Europa. Questa dilazione – criticata sia dall’azienda produttrice e da numerosi immunologi e virologi britannici, sia dall’Agenzia del farmaco europea – avrebbe lo scopo di riuscire a vaccinare quante più persone possibile in brevissimo tempo, anche rischiando di conferire loro una immunità incerta o parziale. Inoltre, nel manuale per le vaccinazioni fornito dal Servizio sanitario britannico (Nhs) a medici e infermieri incaricati della profilassi si ammette la possibilità del cosiddetto mix-and-match, ossia che «a coloro che hanno iniziato il ciclo di immunizzazione ma per i quali, al momento del richiamo [per la seconda dose] lo stesso tipo di vaccino non è disponibile o la tipologia della prima dose non è conosciuta, è ragionevole offrire una dose del prodotto [vaccino di altro produttore] disponibile sul posto affinché completi il ciclo » vaccinale. Una ferma reazione negativa è venuta sia dalla Pfizer (che ha validato il protocollo a due dosi solamente dello stesso tipo), sia dal Centers for Disease Control and Prevention degli Usa, dove escludono esplicitamente questa possibilità, in quanto «i vaccini non sono intercambiabili» e «l’efficacia e la sicurezza di queste tecniche alternative di somministrazione non sono state ancora provate». Come chiedeva il cancelliere Ferrer al proprio cocchiere mentre conduceva la carrozza tra il popolo in tumulto nelle piazze di Milano, affrettandosi per liberare il vicario di Provvisione assediato dalla folla, «Adelante, Pedro, cum juicio» (A. Manzoni, I Promessi Sposi, cap. XIII). Pur facendoci muovere con la dovuta determinazione, l’assedio del coronavirus che stringe l’Europa e il mondo non deve indurci a perdere il giudizio di prudenza (o precauzione) nell’uso dei mezzi profilattici e terapeutici sinora disponibili.

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