martedì 28 agosto 2012
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Pierluigi Bersani ha abbandonato la tradizionale bonomia emiliana e si è lanciato in una filippica contro i «fascisti del web», facilmente identificabili in Beppe Grillo e Antonio Di Pietro, che pure erano stati compagni di strada (o qualcosa di più) nella ventennale battaglia antiberlusconiana. Bersani parlava in casa, alla Festa democratica, non ha quindi ceduto all’eccitazione di un dibattito acceso. C’è, insomma, da pensare che abbia deliberatamente usato quel termine e quei toni per ottenere un risultato politico.Forse il segretario del Pd sente che la demagogia antipolitica del "Movimento 5 Stelle" può mordere in qualche fascia dell’elettorato di sinistra, com’è probabilmente accaduto nelle elezioni municipali di Parma, dove peraltro un consulente del sindaco Federico Pizzarotti, Maurizio Pallante, auspica un’interlocuzione ravvicinata, e forse anche un’intesa elettorale, tra i grillini e la Fiom-Cgil. Non è forse un caso se al segretario del sindacato metalmeccanico "antagonista" non è stata recapitata la tradizionale lettera di invito a un qualche dibattito nell’ambito della manifestazione del Pd. Al contrario, Maurizio Landini aveva invitato Bersani a un’assemblea dei metalmeccanici Cgil con i leader politici della sinistra, ma poi l’incontro all’hotel Parco dei principi si era concluso come una sorta di corrida, con il pubblico che osannava Antonio Di Pietro e pizzicava anche clamorosamente Bersani, reo di aver approvato la riforma del mercato del lavoro di Elsa Fornero. In quell’occasione Bersani aveva rivendicato di non aver «mai detto una parola poco rispettosa sull’Idv e di Pietro». Ora, a pochi giorni di distanza, ha cambiato idea decidendo, come ha dichiarato domenica, di «piantare qualche chiodo».Un’altra delle ragioni che potrebbero aver spinto il leader democratico a questo affondo è una specie di controffensiva preventiva all’attacco frontale che si attende da Grillo e da Di Pietro sulla riforma della legge elettorale in gestazione, che è già stata oggetto di attacchi sferzanti anche prima che se ne conosca il testo.Al di là delle questioni specifiche, alle quali bisogna aggiungere quella dell’irritazione sincera per l’aggressione nei confronti del Quirinale, si delinea una sorta di nuovo posizionamento del Pd in vista delle elezioni. Il Pd in quanto tale chiede voti per una politica che "superi", senza rinnegarla, la stagione del rigore gestita, col suo appoggio, dal governo di Mario Monti. Per gli scontenti e i delusi c’è l’opzione di sostenere la lista di "Sinistra e libertà" di Nichi Vendola (ieri sera dichiarato «il preferito» del segretario dei democratici), che continua a parlare ogni giorno della politica economica di Monti come di «macelleria sociale», ma viene accettato come alleato proprio per dare uno sbocco al voto di protesta e anche per ribadire in qualche modo l’antica linea del "nessun nemico a sinistra". Se però i nemici ci sono, appunto nei raggruppamenti guidati da Grillo e Di Pietro, bisogna negare che siano accettabili per una prospettiva di sinistra, metterli nel calderone della destra e, addirittura, di quella eversiva di stampo fascista. C’è un parallelismo tra l’uscita di Bersani e l’analisi svolta da Ezio Mauro, direttore di "Repubblica", sui movimenti «di destra» che si sono insinuati nel campo antiberlusconiano e che oggi debbono essere esclusi dall’ambito della sinistra, ma Mauro ha usato il fioretto della schermaglia dialettica, non la clava dell’anatema.In fondo, è utile che a sinistra si faccia un po’ di chiarezza, che si prendano le distanze da chi è effettivamente distante da una prospettiva riformista e da un atteggiamento di responsabilità (anche se resta l’equivoco dell’intesa con Vendola), superando la confusione dell’ammucchiata antiberlusconiana. È un peccato, e forse qualcosa di più, che per farlo si ricada nel vecchio vizio dell’invettiva e della delegittimazione, particolarmente urticante in una fase in cui le ragioni della protesta sono, purtroppo, fondate e diffuse.
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