«Serenella» e il labirinto
sabato 13 novembre 2021

Chissà quanto sarà scombussolata la piccola appena arrivata in Italia dall’Ucraina, accompagnata in aereo da poliziotti e da una squadra della Croce Rossa. Non sappiamo niente di lei, né se già pronuncia qualche parola nella lingua della tata ucraina che l’ha cresciuta nel suo primo anno di età, e chissà se la chiamava mamma, questa donna che si è presa cura di lei da quando è nata, e che ha bussato alla porta del Consolato italiano per cercarne i genitori dichiarati alla nascita quando sono spariti. Per un po’ la piccina una mamma ce l’avrà, e anche un papà: un affido particolare – in attesa dell’adozione – per una bambina che porta il nome di una fata, ma che di fatato fin qui ha avuto poco.

La chiamano perciò, per proteggerla, "Serenella". E di mamme ne ha avute fin troppe. I retroscena della sua nascita e della sua "committenza" non sono ancora ben delineati, ma stiamo alla versione ufficiale resa sinora dalle autorità. Se davvero è nata con l’affitto di un grembo, c’è bisogno di aggettivi per distinguere le mamme di "Serenella". C’è la donna che l’ha partorita, la sua mamma biologica detta anche surrogata, che però non se ne può prendere cura perché è stata reclutata e pagata per portare avanti la gravidanza e metterla al mondo, ma non per crescerla. La bimba probabilmente non le assomiglia: è facile che il Dna lo abbia ereditato da una donna diversa: la sua mamma genetica, che può aver venduto i propri ovociti, quelli con cui in un laboratorio ucraino la piccola è stata concepita.

È verosimile che la piccola abbia considerato sua madre una terza donna, a cui è stata affidata appena nata: una baby sitter che l’ha fatto per lavoro, per più di un anno, pagata da una quarta donna, italiana, la madre intenzionale della piccola che, insieme a suo marito, il padre intenzionale, ha commissionato la nascita della bambina stipulando – a quanto pare – un apposito contratto (regolare in Ucraina, vietato in Italia). Padre intenzionale a cui la bambina potrà assomigliare, perché probabilmente sono suoi gli spermatozoi con cui è stata concepita: la legge ucraina sull’utero in affitto richiede infatti che i genitori committenti – quelli che hanno intenzione di avere un figlio e ne commissionano a terzi concepimento, gravidanza e parto – siano sposati, di sesso diverso, e che uno dei due (di solito il padre) abbia un legame genetico con il nato. Sarà la prova del Dna a dire come stanno davvero le cose.
Ma stiamo ancora alla storia così come ci è stata consegnata. I due italiani, dopo avere riconosciuto la neonata in Ucraina e averle attribuito la nostra cittadinanza, nell’agosto 2020, sono tornati a casa senza "Serenella", che è cresciuta con la tata finché la coppia ha cambiato idea e, senza avvisare, ha interrotto rapporti e pagamenti. Rintracciati dalle autorità italiane, non avrebbero ancora chiarito la situazione reale. Per questo sono partiti una doppia indagine giudiziaria – Procura di Novara e Tribunale dei minori di Torino – e il pre-affido.

Ora la bambina vive con colei che probabilmente è la quinta donna della sua vita, la sua attuale mamma legale, sposata con un uomo che, per ora, è il padre legale: i suoi genitori pre-affidatari.
Il solo elencare uomini e donne coinvolti biologicamente e legalmente con la bambina è indicativo della inumanità intrinseca alla pratica dell’utero in affitto o di qualunque altro mercanteggiamento su figli ridotti a prodotti e oggetti, a dispetto di chi vorrebbe edulcorare tutto ciò utilizzando espressioni meno crude o addirittura ammantate di positività. La storia di "Serenella" non è, infatti, una drammatica eccezione ma la conseguenza di un nuovo paradigma antropologico, che vede la genitorialità non come l’esito di una relazione affettiva e fisica fra un uomo e una donna ma esclusivamente come risultato dell’intenzione di due persone che, volendo un figlio, a tale scopo stipulano un contratto: le parti sono da un lato chi ha intenzione di crescerlo, e dall’altro chi mette a disposizione in modo più o meno truffaldino quello che manca alla coppia, cioè gameti (donatori), corpo della gestante (surrogata o no), tecnologia (centro di fertilità), il tutto mediante un’agenzia di servizi.

In questo modo per diventare genitori è l’intenzione che vale, e non generare fisicamente un bimbo: ma per quale motivo questa intenzione dovrebbe durare per sempre? Se si stipula un regolare contratto, perché mai nessuno può romperlo? Il "per sempre" che lega genitori e figli è dovuto alla condizione umana: il legame dei corpi non si può cancellare, non si può rompere. E anche nell’adozione – scelta bellissima e ugualmente generativa di chi accoglie – non si nega il legame biologico del nato con il padre e la madre naturali (che si ha diritto a conoscere, alla maggiore età), ma si prende atto che non si possono prendere cura di lui.
Contrattualizzare la genitorialità porta inevitabilmente a rendere il nato l’oggetto del patto stipulato, così come il mettere a disposizione il proprio corpo per sostenere gravidanza e parto, o anche cedere i propri gameti per concepire un essere umano da consegnare ad altri, non può che essere fatto concordando un prezzo, seguendo le leggi della domanda e dell’offerta. Non esistono tutele possibili nel mercato delle donne e dei bambini.

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