Cinque ex bulli e un buon padre
giovedì 20 dicembre 2018

Non andranno in carcere i cinque ragazzi novaresi – minorenni all’epoca dei fatti – accusati tra l’altro di avere contribuito, con ripetuti episodi del peggiore bullismo anche telematico, alla morte di una studentessa quattordicenne, suicidatasi il 5 gennaio 2013. Ma non si tratta di assoluzione: la loro pesante responsabilità emerge dalla stessa conclusione che è stata data al seguito giudiziario di questa tristissima vicenda.

Nel 2016 i cinque erano stati sottoposti a una «messa alla prova», con l’imposizione di prestazioni in favore di disabili, di anziani, di poveri, affiancate a un serio impegno scolastico e di ripensamento interiore. Ieri, con la sentenza, i giudici del Tribunale per i minorenni di Torino hanno tirato le somme, sulla scorta di quanto verificato e riferito da psicologi e altro personale incaricato di assistenza e controllo. E hanno dichiarato estinti i reati per esito positivo della prova, ritenendo che vi fossero dimostrazioni credibili dell’essersi avuta quella «rieducazione» che la Costituzione indica come obiettivo fondamentale dell’intero sistema di giustizia penale, e che può anche comportare l’impiego di alternative alle sanzioni strettamente afflittive.

Così facendo quei giudici si sono sicuramente assunti una grossa responsabilità. E non solo e non tanto di fronte a quella parte, verosimilmente numerosa, dell’opinione pubblica, secondo la quale, in casi come questi, la giustizia esige senza eccezioni una pena detentiva. Soprattutto, è chiaro che la constatazione di quella resipiscenza del reo, che la legge presuppone perché, alla fine della 'prova', si eviti l’applicazione della pena, resta qui pur sempre appesa a una diagnosi d’immaturità quale base di certi comportamenti e a una prognosi di recupero, comprensivo di un uso pienamente consapevole del web: l’una e l’altra, com’è palese, frutti non di certezze assolute, ma di delicatissime valutazioni probabilistiche. E sarebbe un fallimento drammatico se, poi, vi fossero consistenti ricadute.

Parole di larghissimo respiro sono però venute dal padre della vittima dei bulli. Dichiarando di non voler entrare nel merito della decisione del tribunale e sottolineando l’esigenza di «lavorare» affinché quanto patito dalla figlia, con un esito tanto sconvolgente, «non accada mai più», ha tuttavia evitato che al suo incancellabile dolore si sovrapponessero sentimenti di vendetta. Anziché rammaricarsi per la mancata condanna degli imputati, ha preferito augurarsi che quei giovani, davvero, «abbiano compreso il gesto e siano pentiti », nella speranza «che questo tempo sia servito per riflettere e dare un segnale forte». Neppure si è scagliato contro la legge che ha consentito di mandare liberi quelli che altri avrebbero voluto veder marcire in galera: «L’importante è che si applichi la norma e che la rieducazione sia efficace».

Parole del genere non si possono pretendere da nessuno che abbia subìto un dolore tanto cocente. Ma ci si allarga il cuore quando c’è chi, in tale situazione, le pronuncia.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: