giovedì 4 luglio 2019
Vibrante lettera di un insegnante. E replica del nostro collaboratore e pedagogista: su bambini e preadolescenti effetti depressivi, mortificanti e non riabilitativi
Una classe della scuola primaria (Ansa)

Una classe della scuola primaria (Ansa)

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Gentile direttore,

sono un docente di scuola secondaria di primo grado. Quella che una volta si chiamava “Scuola media”, che secondo me ormai ha poco senso di esistere così com’è, ma questo è un altro discorso. Le scrivo in merito a quanto scritto su “Popotus” del 18 giugno 2019. «Perde chi boccia». La riflessione del pedagogista Daniele Novara punta il dito sul sistema scuola e sui docenti. Che bocciano (perché la decisione è dei docenti) attuando una «forma di crudeltà», essendo «più efficaci nel giudicare che nel promuovere». Cito ancora: «La pedagogia moderna ha sempre criticato le bocciature nella scuola primaria e più in generale nella scuola dell’obbligo» (quindi fino ai 16 anni)». «Tutti gli alunni devono poter sbagliare liberamente». La bocciatura, come la intende il dottor Novara è (forse) di quelle relative agli anni 70. Oggi la bocciatura è spesso concertata con la famiglia, specie nella scuola primaria, ove altrimenti non sarebbe possibile. E ci si pongono, da parte dei docenti stessi, tantissimi interrogativi sull’opportunità educativa di un simile atto amministrativo. È altrettanto vero che alcuni alunni fermati, hanno trovato la loro dimensione, cambiando ambiente scolastico (semplicemente in una classe diversa...), e l’«anno perso» lo hanno abbondantemente recuperato, molto più di quanto sarebbero riusciti a fare se non fossero stati fermati. E questo è spesso il fine e la ratio della “bocciatura”. Nella secondaria, anche in realtà piccole e “semplici”, spesso ci troviamo davanti persone prive di un substrato familiare, e che dopo di noi non hanno altri modi per avere un minimo di educazione civica. Quindi ci troviamo in alcuni casi, proprio per questo “terrore della bocciatura” a promuovere e a licenziare gente che non ha il minimo senso del dovere (certamente anche perché noi non siamo stati in grado di ispirarglielo), o che ci irride in classe. Per non parlare delle beghe amministrativo- giudiziarie che si rischiano (mi è capitato di una famiglia che, vedendo il ragazzo fermato dopo due comunicazioni firmate e sottoscritte, mi abbiano accusato di averli circuiti e di non aver comunicato il pericolo della bocciatura). Sono anche educatore scout, quindi non credo di essere uno di quelli che non «cerca il 5% di buono in ogni ragazzo». In definitiva, mi pare che l’articolo, in poche righe, dia un bel colpo a tanto lavoro che tanti colleghi fanno certamente meglio di me, e che vivono la bocciatura come una sconfitta, facendo di tutto per evitarla e usandola come estremo mezzo di crescita. Ma noi docenti, e tutto il sistema scuola, se promuoviamo chi non merita, siamo sconfitti e non facciamo bene il nostro lavoro, se li fermiamo perdiamo lo stesso, come dice il titolo. «Meglio la scuola che sa valutare i progressi piuttosto che giudicare unicamente gli errori», mi chiedo, visto che forma degli insegnanti, che tipo di insegnanti abbia incontrato finora il dottor Novara. Soprattutto nel primo ciclo, ci procuriamo di guardare la situazione di ogni singolo alunno e proviamo a valutare positivamente ogni minimo progresso. Purché ci sia... Trovo che la frase conclusiva di quell’articolo «tutti dovrebbero essere contenti di andare a scuola» sia sibillinamente fuorviante. Spesso chi non è contento non lo è per la bocciatura, ma da molto prima. Spesso la famiglia non propone una idea positiva di cultura e di scuola, per cui, qualsiasi forma di richiesta, anche la più stimolante, viene vista come coercizione e boicottata.

Andrea Cittadini Bellini


Il problema che lei pone, gentile professor Cittadini, è serio e io, su invito del direttore, dialogo volentieri con lei. Molto raramente – vorrei poter dire “mai” – un insegnante boccia per il gusto sadico di punire ma, al contrario, per un senso di responsabilità verso l’alunno stesso e verso la società. Fatto salvo questo, e il lavoro coscienzioso di tanti insegnanti, io metto in discussione l’istituto della bocciatura in quanto tale. Perché si tratta di una pratica inerziale che non ha fondamento pedagogico, come la campanella, i compiti a casa, l’intervallo al banco o la lezione frontale. Lo spiego – spero bene – nel libro “Cambiare la scuola si può” (Rizzoli): per creare una scuola nuova, in cui gli insegnanti sappiano analizzare gli errori senza punire, stimolare i ragazzi a fare progressi tirando fuori le loro risorse, offrire percorsi di apprendimento a partire dai livelli di partenza di ciascun alunno e valutare i progressi non le mancanze, occorre liberarsi di tutte le pratiche coercitive, che non hanno ragioni scientifiche. È vero, come lei spiega, che nella scuola primaria la bocciatura è «concertata con la famiglia», ma nella primaria non si dovrebbe proprio bocciare! Gli effetti della bocciatura su bambini e preadolescenti, secondo la mia esperienza in consulenza, sono sempre depressivi, mortificanti e non riabilitativi, soprattutto se il ragazzino rimane nella stessa scuola. Un bambino o un ragazzino delle medie hanno fragilità di cui insegnanti, genitori ed educatori devono tenere conto: per costruire una vera comunità di apprendimento, bocciare non serve.

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