Il viaggio di papa Francesco nei Balcani
mercoledì 8 maggio 2019

Se i viaggi avessero un volto, la visita di Francesco in Bulgaria e in Macedonia del Nord, conclusa ieri, ne avrebbe due, anzi tre. Il volto di san Giovanni XXIII, Papa della Pacem in terris, e prima ancora delegato pontificio nel Paese delle rose. E il volto di Madre Teresa di Calcutta, la santa della carità, del servizio ai più poveri tra i poveri. Il volto cioè dei due “patroni” di questo itinerario nei Balcani, scelti perché perfettamente coerenti con il messaggio che papa Bergoglio ha voluto lanciare durante la sua tre giorni. Ai quali se ne aggiunge però un terzo, quasi a mo’ di ponte, cioè di ideale collegamento e completamento: il volto di san Paolo VI con la sua Popolorum progressio: «Lo sviluppo è l’altro nome della pace».

Questi sono infatti i temi che hanno segnato il viaggio: ricerca della pace, in primis, e poi attenzione ai più poveri, accoglienza dei migranti, costruzione di ponti tra le etnie, le confessioni cristiane, le diverse religioni, e dunque mosaico di popoli e dialogo al posto della separazione e dell’esclusione, mani tese al posto dei respingimenti ciechi, aiuti concreti al posto del commercio delle armi, sviluppo sostenibile al posto dello sfruttamento del pianeta e di intere popolazioni, magari poi costrette a far emigrare i propri figli. Si può dire in sostanza che visitando due nazioni di quel ventre molle dell’Europa che spesso nella storia è stato focolaio di guerre, tensioni, pulizie etniche, Francesco abbia voluto inaugurare un cammino nuovo e indicarlo non solo ai popoli che ha incontrato, ma alla stessa Europa dei potenti e dei poteri forti e al mondo intero.

Se questo è un Papa che non occupa spazi, ma apre processi, il processo aperto in questa parte dei Balcani (così come in precedenza aveva fatto con le visite a Tirana e Sarajevo) è quello di un mondo in cui sia possibile vivere la diversità come ricchezza e non come limite, la fraternità come lingua comune (anche con i musulmani, molte volte infatti è stato citato il documento firmato ad Abu Dhabi), l’aiuto come prassi normale sia che si tratti di non lasciare in mezzo al mare o davanti ai reticolati i migranti, sia che si tratti di realizzare sagge condizioni per l’accoglienza e l’integrazione, o di portare fuori dalla miseria uomini e donne che a causa della crisi economica rischiano di essere vittime della “cultura dello scarto”. Un sogno, come ha detto ieri il Papa parlando ai giovani di Skopje.

Ma un sogno da fare in comune, senza scambiare i valori veri con i vetri colorati (immagine aggiunta a braccio al discorso scritto). «Per favore sognate Sempre insieme agli altri, mai contro gli altri», ha sottolineato. E il messaggio, dalla forza dirompente, vale anche per le prossime elezioni europee. Al continente tentato di “incubare” muri, chiusure, sovranismi e populismi che in realtà prima o poi si trasformano in mostri (il secolo scorso insegna), Francesco chiede in pratica di guardare avanti, di sognare insieme, di fare propria la cultura dell’incontro e della pace che fu alla base del sogno europeo dei tre padri fondatori Adenauer, Schumann, De Gasperi e di quanti, dal sognatore Spinelli al gradualista Monnet, insieme con loro pensarono e avviarono le istituzioni oggi sintetizzate dai Consiglio e dalla Commissione di Bruxelles e dal Parlamento di Strasburgo (unica tappa – e non a caso – di papa Bergoglio nell’Europa dei grandi).

Il fatto che molto spesso in questo viaggio il Pontefice abbia parlato ai bambini e ai giovani ci dice che a loro egli vuole consegnare l’eredità di un futuro che non deve essere ritorno al passato di due guerre mondiali, di milioni di morti, di olocausti e teorie politiche in “ismi”. Perciò, se questa visita ha avuto per il momento i volti di madre Teresa, Giovanni XXIII e Paolo VI, il processo che si è aperto qui potrebbe avere presto il volto di quei bambini e di quei giovani. Cioè di uomini e donne di pace in terra, servizio ai più poveri e sviluppo dei popoli.

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