martedì 8 marzo 2022
I Paesi che si sono opposti o astenuti sulla risoluzione Onu di condanna all’invasione dell’Ucraina hanno acquistato l’80% delle esportazioni di armamenti dalla Russia
Vanno promossi nuovi meccanismi di mantenimento della sicurezza. La limitazione della violenza deve partire dai mercati per arrivare a un’altra architettura istituzionale multilaterale

Vanno promossi nuovi meccanismi di mantenimento della sicurezza. La limitazione della violenza deve partire dai mercati per arrivare a un’altra architettura istituzionale multilaterale - ,

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Nei giorni scorsi l’assemblea generale dell’ONU ha votato una risoluzione di condanna dell’invasione dell’Ucraina ordinata da Vladimir Putin. In particolare, 141 Stati hanno votato in favore della risoluzione che riafferma la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina. Cinque Paesi – Bielorussia, Corea del Nord, Eritrea, Siria e chiaramente la Russia – hanno votato contro la risoluzione mentre altri 35 si sono astenuti. I leader politici e i media di tutto il mondo hanno applaudito alla quasi unanime compattezza della comunità internazionale nel condannare la guerra. Sebbene il risultato sia oggettivamente significativo dal punto di vista politico, è importante leggere all’interno dei numeri di questa votazione per ricavarne ulteriori spunti di riflessione. S e i Paesi che hanno votato contro la risoluzione non destano in alcun modo sorprese, non si può dire lo stesso delle nazioni astenute. Tra queste, infatti, la gran parte degli osservatori ha evidenziato la presenza della Cina per sottolineare con soddisfazione e speranza la non piena approvazione dell’invasione da parte di Pechino. Una minore attenzione, tuttavia, è stata dedicata agli altri Paesi che rivestono comunque un’importanza a livello mondiale. Tra gli astenuti troviamo infatti Paesi indubbiamente di rilievo tra cui ad esempio l’India, il Pakistan, l’Iran, il Sud Africa, e l’Algeria. È evidente che ognuno di questi possa avere motivazioni e diverse che spiegano l’astensione, ma esiste in particolare un filo comune che lega alcune di queste nazioni e precisamente l’avere come fornitore di armamenti la Russia.

Nel 2020, ad esempio, l’Algeria ha importato l’80% delle sue armi dalla Russia; la Cina il 74%, l’India il 35%, Il Vietnam il 44% e l’Iran il 100%. In linea generale, se calcoliamo il 'peso' aggregato di Paesi clienti di Mosca che si sono astenuti (in particolare 26 su 35) o che hanno votato contro la risoluzione dell’Assemblea generale dell’ONU troviamo che nel 2020 ben il 76% delle esportazioni russe di armamenti erano a questi indirizzate. Se poi consideriamo un periodo più lungo – dato che i legami in ambito militare so- no da considerarsi in prospettiva pluriennale – è facile notare che nel periodo 2010-2020 il medesimo gruppo di Paesi ha pesato in media per l’80% fino a una quota massima del 96% nel 2016. Invero, l’allineamento politico a favore di Mosca si spiega in larga parte con legami in ambito militare.

La Russia è storicamente il secondo esportatore di armamenti al mondo dopo gli Stati Uniti, ma nell’era Putin un percorso di consolidamento industriale sotto il controllo governativo ha consentito di rafforzare e accrescere tale posizione aumentando il proprio portafoglio clienti in un mercato globale delle armi divenuto sempre più com- petitivo. Ed infatti tra le nazioni che si sono astenute pochi giorni fa ne ritroviamo alcune che durante l’era Putin hanno cominciato ad importare armi da Mosca (ad esempio Bangladesh, Repubblica Centrafricana) ovvero Paesi che hanno riattivato legami interrotti da decenni (come Angola, Mozambico, Pakistan). In ultimo, le esportazioni di armi hanno rappresentato per Mosca un elemento fondamentale della sua aggressiva politica estera. I n linea più generale, i legami e le reti del mercato globale delle armi sono cruciali per comprendere le relazioni tra governi in seno alla comunità internazionale, ma a differenza del passa- to in virtù della crescente competizione questo mercato è andato frammentandosi e la sovrapposizione tra alleanze militari e forniture di armamenti ha cominciato a perdere di significato. Negli ultimi anni, infatti, Mosca ha ceduto armi anche a Paesi quali Arabia Saudita, Bahrain, Grecia, Turchia, e Argentina che erano clienti anche di USA e Stati europei. E lo stesso si può dire per clienti tradizionali quali India ed Egitto.

Invero, tale evidenza consente di ribadire quanto più volte affermato su queste pagine, vale a dire che la necessaria riscrittura delle istituzioni globali non può che ripartire da una più stretta regolamentazione del mercato delle armi e più in generale da politiche di disarmo. Ed infatti purtroppo in materia di disarmo sembra che la comunità internazionale non sia in grado o non sia intenzionata a trovare nuovi ed efficaci accordi vincolanti. Il trattato sul commercio di armi convenzionali (ATT) non riesce a declinare i suoi effetti poiché i grandi esportatori USA, Russia e Cina non vi hanno aderito e seri dubbi permangono in merito all’atteggiamento degli stessi Paesi UE che lo hanno ratificato. Un ulteriore stallo lo si ritrova per la conven- zione ONU sulle armi convenzionali, la cui sesta revisione, avente come principale oggetto i dispositivi d’arma autonomi (LAWS, Lethal Autonomous Weapon Systems) si è conclusa nello scorso dicembre purtroppo senza alcun passo in avanti che consentisse di limitarne se non addirittura di proibirne l’utilizzo. Nuovi incontri del gruppo di esperti governativi sono previsti nei prossimi giorni e poi in luglio, ma la situazione corrente non sembra favorire ottimismo. Ancora più preoccupante è la mancata revisione del trattato di non proliferazione nucleare (NPT) entrato in vigore nel 1970 e che costituisce ancora lo strumento più importante per la non proliferazione nucleare. Esso, infatti, viene sottoposto a una revisione periodica ogni cinque anni e l’ultima si è tenuta nel maggio del 2015 senza che si arrivasse però a un documento finale condiviso. La nuova conferenza di riesame si sarebbe dovuta tenere nel maggio 2020 ma è stata rinviata a causa della pandemia e nelle ultime settimane è stata nuovamente posposta a settembre 2022. Nel contempo il trattato per la proibizione delle armi nucleari ( TPNW), non solo non ha raccolto la firma dei paesi ‘nucleari’ ma – con la sola eccezione di Austria e Irlanda – non ha ancora raccolto le firme e la ratifica dei Paesi europei che non dispongono di testate.

Alla luce di questi esempi, per quanto in questi giorni possa apparire inefficace se non addirittura impopolare, le democrazie occidentali devono farsi promotrici senza ambiguità di una nuova politica per la limitazione degli armamenti e da questa ripartire per instaurare nuovi meccanismi di mantenimento della sicurezza. In questa fase storica in cui il sistema liberale sembra oramai in fase di declino la riscrittura delle 'regole del gioco' del sistema internazionale non è più rinviabile. La limitazione della violenza non solo sul campo di battaglia ma anche nei mercati deve costituire il punto di partenza di una nuova architettura istituzionale multilaterale.

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