venerdì 7 dicembre 2012
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L’Italia è ormai entrata in una fase politica preelettorale, con conseguente polarizzazione sulla 'gara' dell’attenzione dei cittadini, che si ritrovano presi dal solito gioco – pilotato mediaticamente – del chi vince/chi perde. Ma la verticale crisi della nostra politica non può essere dimenticata, ed questo è un momento buono per tornare a interrogarci sulle sue ragioni profonde.
La verità è che la politica è segnata, nel nostro Paese, da tre sistemi di pensiero che si contrappongono e si coniugano senza tregua e spesso senza coerenza, rendendo difficile dar vita a compagini con una progettualità davvero condivisa ed efficace. Il primo, di ispirazione liberale, il secondo (ancora colorato da residui del collettivismo marxista) ispirato agli ideali socialdemocratici, il terzo a una visione cristiano­cattolica. Dei tre, l’orizzonte vincente sotto il profilo della prevalenza mediatica e culturale è oggi il primo, quello liberale, ma nella spiccata versione libertina e libertaria propagandata dal movimento radicale. Il radicalismo, con la sua idea di una continua espansione dei diritti autoreferenziali del soggetto, ha infatti finito per assorbire e trasformare la tradizione liberale classica (e ciò che sta accadendo in questa fase nel Pdl lo conferma...), aggredendo alla radice sia la cultura cattolica sia quella di origine marxista.
Tema centrale delle culture cattolica e socialista è sempre stato, infatti, quello della responsabilità. Responsabilità verso se stessi, il prossimo e la società, per il cattolicesimo; verso la storia (certamente intesa in prospettiva immanentistica), il partito e i lavoratori, per il socialismo. Visioni, dunque, strutturalmente in contrasto con una prospettiva di tipo individualistico e autoreferenziale. La pervasività del sistema di pensiero libertario – depurato da ogni retaggio della kantiana morale del dovere – produce oggi le contaminazioni più strane con quanto resiste e si ripropone degli altri sistemi di pensiero.
La lettura del programma di Sel, per esempio, declina in modo ardito e ossimorico proposte di allargamento dei diritti individuali di ogni 'differenza', con le battaglie a sostegno dei lavoratori e del «bene comune». Nello stesso modo il programma del leader del Pd, dopo aver definito quest’ultimo «il partito del lavoro», della solidarietà (e, anche, della sussidiarietà), essersi richiamato ai valori della socialdemocrazia e della sinistra popolare e progressista, dopo aver invocato come propria l’eredità umanistica, cristiana e laica, proclama la propria adesione alla tradizione liberaldemocratica per sostenere, infine, il tema della totale autonomia dell’individuo (in grado di decidere da solo della propria morte).
Anche il partito di più esplicita ispirazione cristiana, l’Udc, s’impegna in una difesa assai schematica del tradizionale ventaglio dei valori fondamentali, senza offrire alcuna motivazione forte di essi. Mentre i 'cattolici' presenti nel Pd, sui cosiddetti temi eticamente sensibili e sui diritti individuali, offrono più o meno caute mediazioni senza elaborare gli argomenti della propria specificità culturale.
Ciò conferma che grandi tradizioni, come quelle cattolica e socialdemocratica, da troppo subiscono la spinta libertaria e individualistica, limitandosi a difendere stancamente ora la famiglia ora i lavoratori. Del resto, una volta posto il principio della 'autenticità del desiderio' come espressione della autonomia del soggetto, il principio della responsabilità intersoggettiva scaturente da una visione ontologicamente e non estrinsecamente relazionale è destinato a soccombere
 Ciò avviene a scapito, per esempio, della protezione dei diritti della famiglia basata sul matrimonio tra un uomo e una donna e aperta alla vita, non a caso assolutamente trascurata come luogo di cura, di stabilità affettiva (e – perché no? – anche economica), ma soprattutto, come luogo per eccellenza dell’assunzione di responsabilità. E, cosa altrettanto grave, ciò avviene anche a scapito della protezione dei diritti del più debole rispetto al più forte: dei bambini rispetto ai genitori, del feto rispetto alla madre, della persona in stato vegetativo rispetto al familiare che non riesce a giustificarne la sopravvivenza e finisce per sovrapporre la propria sensibilità e il proprio desiderio a quelli del disabile...
Il tema della responsabilità, della cura verso l’altro è insomma descritto, letto ed esorcizzato come un’abdicazione alla propria libertà, alla propria autorealizzazione autentica. E il rischio è di non percepire più che non c’è vera libertà né vera autenticità se non nel rapporto con l’altro di cui ci si assuma liberamente la responsabilità.
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