Se le imprese cercano lavoratori la «legge Cutro» può migliorare
sabato 20 maggio 2023

Sta emergendo un aspetto nuovo nel travagliato dibattito sull’immigrazione, in Italia e in Europa, o quanto meno un aspetto che dagli anni 70 era stato relegato in un angolo e ammesso col contagocce: abbiamo bisogno di manodopera. Non solo di investitori, cervelli e professionisti della sanità, che già dispongono di corsie privilegiate. In Germania, Spagna Francia sono state introdotte modifiche normative che, sia pure con cautela, riaprono dei canali d’ingresso e regolarizzano caso per caso i soggiornanti non autorizzati ma occupabili. In Italia è in corso l’iter per la conversione in legge del decreto Cutro, irto di chiusure per i rifugiati, ma sensibile alle reiterate richieste del mondo produttivo per l’ammissione di nuovi lavoratori dall’estero.

Il discorso pubblico sta mostrando segni di resipiscenza: si ricomincia a riconoscere, magari a denti stretti, che il lavoro degli immigrati è una leva imprescindibile per l’alimentazione dello sviluppo economico. Soprattutto nei settori in cui né le tecnologie né il ricollocamento degli impianti all’estero possono sostituire l’intervento umano: costruzioni, industria alberghiera, agricoltura, assistenza alle persone...

Siamo uno strano Paese, in cui la campagna “Ero straniero” e Francesco Riccardi su questo giornale ci hanno appena ricordato che non sono ancora concluse le procedure per l’emersione delle lavoratrici e dei lavoratori, principalmente domestici e assistenziali, varata ben tre anni fa. Tra l’altro con le donne ucraine al primo posto per volume di domande, circa 18.000. La macchina delle verifiche è ingolfata, e sarebbe facile suggerire di sistemare le oltre 100.000 persone in attesa prima di avventurarsi in nuove gimkane procedurali per gli ingressi da autorizzare. Merita tuttavia qualche riflessione la normativa che cambia, tra decreto flussi di inizio anno e decreto Cutro, cogliendone le novità e suggerendone il miglioramento.

È un fatto positivo che l’esecutivo, rafforzando il lascito del governo Draghi, abbia alzato il numero degli ingressi autorizzati (82.705 per il 2023), introdotto una programmazione triennale e semplificato le procedure previste, finora tali da arrivare a compimento, tutto andando bene, quando i lavoratori in molti casi non servivano più. I problemi però non mancano.

Anzitutto, gli ingressi autorizzati restano tuttora prevalentemente finalizzati a soddisfare le esigenze di lavoro stagionale (44.000 unità). Molti fabbisogni dei settori produttivi interessati hanno però carattere permanente, anche in relazione agli investimenti necessari per la formazione e l’inserimento dei lavoratori provenienti da paesi terzi. Serve più coraggio, prevedendo un aumento delle autorizzazioni all’ingresso dedicate al lavoro dipendente non stagionale.

Resta poi escluso in modo incomprensibile il settore domestico-assistenziale, proprio quello che più ricorre a lavoratrici e lavoratori provenienti dall’estero (circa il 70% degli iscritti all’Inps nel settore), in cui l’esteso affidamento a soluzioni irregolari rende poi necessarie periodiche manovre di emersione come quella del 2020.

La principale contraddizione riguarda però la quasi abolizione della protezione speciale inserita nel decreto Cutro. Oltre ai risvolti umanitari più volte denunciati (ancora in questi giorni, dai vescovi intervenuti al convegno nazionale delle Caritas diocesane), questa decisione, dettata da ragioni puramente ideologiche, comporta, fra le altre, la conseguenza di privare i datori di lavoro di una fonte di manodopera. Con la protezione speciale i richiedenti asilo potevano accedere a uno status legale se inseriti in percorsi d’integrazione ben avviati, ossia in un posto di lavoro. Volendo rispondere alla carenza di manodopera e insieme alleggerire il sistema di accoglienza dei rifugiati, servirebbe una maggiore comunicazione tra il canale dell’asilo e quello dell’immigrazione per motivi di lavoro. In prospettiva, sarebbero raccomandabili altre due innovazioni.

La prima, che richiama quanto già è possibile in Francia, Spagna e per alcuni aspetti in Germania, sarebbe un canale di regolarizzazione permanente per gli immigrati che si trovano sul territorio e per i quali un datore di lavoro dichiara di voler precedere all’assunzione.

La seconda innovazione possibile riguarda la reintroduzione dell’ingresso per un anno per ricerca di lavoro mediante uno sponsor. Gli studi sull’argomento mostrano che gli immigrati e anche i rifugiati in grado di contare sul sostegno di parenti già insediati si integrano più rapidamente di quelli privi di reti di sostegno. Organizzazioni di categoria e sindacali, associazioni e comunità ecclesiali potrebbero essere coinvolte in attività di accompagnamento, come la formazione linguistica e civica. Non va mai dimenticato che insieme alle braccia arrivano le persone, e nessuna economia può funzionare senza farsene carico compiutamente.

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