Più ragioni per resistere
sabato 7 gennaio 2023

È sempre un giorno buono quello in cui le armi tacciono. Ed è sempre un giorno cattivo quello in cui le armi potrebbero tacere, ma non lo fanno. Nella guerra d’Europa, e per il nuovo (dis)ordine mondiale, che si combatte da più di dieci mesi in terra d’Ucraina il giorno che per gli ortodossi è la vigilia di Natale e per il resto della cristianità è l’Epifania è stato un giorno pessimo, triste e feroce persino più di altri giorni di questa carneficina – parola di papa Francesco – folle e sacrilega. Perché quando si trasforma una pur fragile occasione di tregua, comunque sia balenata, da chiunque sia stata offerta, in un nuovo terreno di battaglia – a suon di dichiarazioni sferzanti, di atti ostili e di ordigni letali scaraventati contro le vite degli altri – il giudizio deve essere netto. Così come netto dev’essere il rifiuto della logica politica e bellica e la morale distorta che impediscono di fermare il massacro.

E tuttavia conserviamo intatta la speranza che dentro la massa opprimente di tanta sofferenza e di tanti clamori siano state scavate in silenzio nicchie di pace. E sappiamo che qualcosa di piccolo eppure di immensamente grande è certamente accaduto nel giorno in cui alcuni cristiani celebrano la mano di Dio che si fa bambina e tocca la storia e tutti gli altri fanno festa per la manifestazione e il riconoscimento del Figlio che ci è stato dato e che per noi si è dato. Sono certamente accaduti gesti inoffensivi, ci sono state armi non più usate e riposte e ordini di morte non impartiti o non ascoltati. E forse – è quasi temerario immaginarlo – ci sono stati persino abbracci che pensiamo impossibili sul confine che corre tra il sospetto, il rancore, la stanchezza del sangue versato e la fraternità desiderata. O semplicemente, ci sono state persone che hanno saputo dirsi: basta, oggi non uccido.

Non hanno portavoce e non ce li faranno vedere in tv o nei video diffusi sui canali digitali di comunicazione. Ma ci sono, continuano a esserci. Sono quelli che obiettano alla violenza, e vogliono giustizia e pace, ma non con la guerra. Che siano benedetti.
Abbiamo bisogno di attingere a queste riserve di umanità e di buona fede. Abbiamo bisogno di sapere che, anche in un dolore così grande, maturano rinunce alla paura che fa imprecare e all’odio. E che si levano preghiere e pensieri non per la vittoria, ma per la fine della guerra. Bisogna proprio affidarsi all’amore di Dio quando appare chiaro – e ieri è stato chiaro più che mai – che gli uomini (e le donne) di potere non ne vogliono sapere di smettere. E sono disposti a prendere in ostaggio anche l’idea di una «tregua di Natale» per scagliarsela contro, e torcerla e ritorcerla in un gioco cinico e propagandistico.

Se la tregua è fallita, se nessuno – né i russi, né gli ucraini, né gli americani, né gli europei – si è preoccupato di farne il seme di qualcosa che dovrà pur venire (e non sarà sulla punta delle baionette e neanche dei missili), allora c’è un motivo in più per resistere e non rassegnarsi a un mondo in cui si pretende di fare delle armi gli aratri del nostro futuro.

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