giovedì 13 agosto 2015
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Nell'udienza generale di ieri il Papa ha aperto quello che ha definito un «piccolo percorso di riflessione» su tre dimensioni della vita familiare: festa, lavoro e preghiera. E forse non è un caso che abbia iniziato proprio dalla prima. Siamo infatti a due giorni dalla festa per eccellenza dell’estate - l’Assunta, alias Ferragosto - e anche per questa coincidenza temporale le sue parole giungono quanto mai propizie. Permettono, infatti, di leggere alla luce dell’antropologia cristiana sia certe derive della società contemporanea, sia alcuni recentissimi e dolorosi casi di cronaca che in un certo senso di quelle derive sono più o meno direttamente conseguenze. Francesco è partito da una domanda che potrebbe apparire scontata e che invece è fondamentale per ristabilire la verità delle dinamiche sociali travolte dalla frenesia di ritmi quotidiani che sempre più spesso ci rendono «schiavi del lavoro». E’ la domanda sull’essenza della festa, sulla sua più autentica carta d’identità, che non è «la pigrizia di starsene in poltrona o l’ebbrezza di una sciocca evasione ». No, la festa - sottolinea in pratica il Papa - non è sballo o consumo nei grandi centri commerciali, ma «un’invenzione di Dio» che ci insegna a «godere di ciò che non si produce e non si consuma, non si compra e non si vende». Invece, le nostre feste - a partire dalla domenica - corrono il rischio di essere scippate, «mangiate» (per usare il termine della catechesi di ieri), dall’ideologia del profitto e del consumo. E così alla fine ci ritroviamo più stanchi e svuotati di prima. Al punto che, annota il Papa non senza un occhio alle tragiche notizie di questi giorni, «i ritmi sregolati della festa fanno vittime, spesso giovani». Uno degli emblemi di questo 'scippo' è proprio la festa dell’Assunta. Una certa mentalità sta facendo di tutto per sostituirla con quel rito pagano della corporeità materialistica che è il Ferragosto: sole, mare, viaggi massacranti in località esotiche, discoteche fino all’alba, abbuffate di cibi e bevande più o meno alcoliche. E così corriamo il rischio di lasciar cadere nell’oblio il messaggio profondo di una festa che invece proprio del corpo, del suo rispetto e del suo destino eterno ci parla. Un corpo che oggi - ed è un’altra delle contraddizioni del nostro tempo - da un lato viene esaltato al limite dell’idolatria (basta guardare certe pubblicità per averne conferma), dall’altro è vilipeso con pratiche aberranti (aborto, proposte di eutanasia, embrioni congelati, uteri in affitto) o ritenuto semplicemente come merce (il turpe commercio degli immigrati ad esempio). Con l’Assunzione di Maria in cielo, invece, corpo e anima, materia e spirito ritrovano la loro inscindibile unità. Tanto in vita, quanto - ed è davvero una buona notizia, questa sì una notizia da festeggiare - nella risurrezione post mortem. Ripensiamoci. E, anche alla luce delle parole del Papa, confrontiamo questo paradigma con la realtà. Scopriremo che si può essere schiavi non solo del lavoro, ma anche della festa. Anzi, di un certo modo di far festa. Proprio quello che la catechesi di Francesco vuole aiutarci a evitare.
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