venerdì 28 ottobre 2011
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La risposta del governo italiano alle sollecitazioni europee per un piano di riforme strutturali è arrivata all’ultimo momento, anche per effetto delle tensioni interne alla maggioranza, ma ha, alla fine, ottenuto un apprezzamento abbastanza generalizzato e critiche piuttosto prevedibili. Dare una valutazione specifica sulle singole partite è forse prematuro, soprattutto perché forme sintetiche come «nuova regolazione dei licenziamenti per motivi economici», la più contestata dai sindacati, si possono tradurre in un arco assai vasto di soluzioni concrete. Comunque, se non altro, la lettera di intenti firmata dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e minuziosamente contrattata a quel che pare con le autorità europee, fa un po’ di chiarezza sul carattere delle riforme richieste in sede europea. L’impegno assunto dal governo, da questo punto di vista, diventa impegnativo per il Paese, non per una specifica coalizione di governo. Disattendere quegli impegni di rigore previdenziale e di sostegno alla crescita, infatti, motiverebbe un rifiuto della Banca centrale europea a sostenere i titoli del debito pubblico italiano, con effetti pesantissimi sul costo, già assai elevato, del servizio del debito. Sul piano dell’efficacia e dell’impatto sociale delle misure adottate bisognerà porre attenzione a realizzare una effettiva convergenza temporale tra le misure di incentivo dell’occupazione, soprattutto femminile, giovanile e meridionale, e quelle di più rapido collegamento delle prestazioni previdenziali all’attesa di vita. Lo stesso, a maggior ragione, vale per il superamento del carattere duale del mercato del lavoro tra l’area dei garantiti e quella dei non garantiti. Un principio, che era alla base delle riflessioni di Marco Biagi, e che è più che mai ragionevole, anche se è evidente che sarà naturalmente decisiva la scelta degli strumenti di attuazione, che dovrebbero essere costruiti in un confronto serrato ma costruttivo anche con le parti sociali interessate.Sul piano politico resta un’incognita la capacità di una maggioranza malferma di approvare in tempi definiti e abbastanza stringenti una mole considerevole di provvedimenti, il che sarebbe in netto contrasto con la mezza paralisi degli ultimi mesi. Anche gli atteggiamenti delle opposizioni dovranno subire una verifica e un chiarimento. La sfida grava insomma e logicamente sul Governo, ma anche sul Parlamento. Dire che il programma è solo «aria fritta», come afferma il segretario democratico Pierluigi Bersani, o che è una «catastrofe sociale», come sostiene la leader della Cgil Susanna Camusso , esprime perciò una divaricazione logica e una contraddizione che vanno sciolte. L’osservazione di Pier Ferdinando Casini, che prevede che la maggioranza non reggerà sotto lo sforzo richiesto per l’approvazione delle misure concordate con l’Europa e non riuscirà neppure a portarle in Parlamento, rappresenta più una sfida politica che un entrare nel merito delle proposte. In ogni caso, va constatato che si è fatto, magari sotto pressione, un importante passo avanti. Il confronto, nella maggioranza, tra le opposizioni e tra maggioranza e opposizioni si trasferisce finalmente sul terreno delle scelte concrete, che per quanto difficili e dolorose possono tracciare un sentiero di fuoriuscita dalla situazione di pericolo in cui si trova il Paese. Chi dissente, e ha tutto il diritto di farlo soprattutto dall’opposizione ma anche all’interno della maggioranza e dello stesso governo, ora ha l’obbligo di avanzare proposte alternative e non può più limitarsi alla richiesta generica di "riforme" diverse, il che potrebbe restituire al confronto politico quei caratteri di concretezza e di realismo che sembravano smarriti.
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