Slogan e gesti di Trump: «scartare» le persone, ma come si fa?
mercoledì 16 novembre 2016

Sto scorrendo gli slogan più memorabili lanciati da Donald Trump, e sono tutti molto importanti, anche quegli sgradevoli. Possono essere sgradevoli per me (che non ho votato), per voi (che non avete votato), ma possono essere gradevoli per il popolo che l’ha votato. «Le donne sono cagne», cioè sessualmente disponibili: lo ritenevo uno slogan impronunciabile, ti fa perdere tanti voti e non te ne fa guadagnare nessuno. Evidentemente non è così. C’è anche una fetta di popolo attirata dal machismo spinto, dall’insulto grave anzi greve, che significa picchiare con le parole l’avversario, e meglio ancora se l’avversario non è una persona (bersaglio piccolo) ma un genere (bersaglio grosso).

«I neri sono pigri» è espressione di un razzismo subdolo, perché mentre lancia un’offesa carica sull’offeso una colpa, e lo rende meritevole di quell’offesa. Dunque: puoi essere razzista, ma con orgoglio. Gli immigrati messicani sono «criminali, trafficanti di droga e stupratori», dunque portano degrado nella città ma anche crimine nella società: se li cacci, vivrai in una città più pulita ma anche più onesta, più bella e più buona.

«La tortura funziona», dunque è cosa buona: quando dicono «tortura» gli americani intendono soprattutto il waterboarding, che i marines vengono addestrati a sopportare il più a lungo possibile, non diventi un marine se non resisti a lungo con la testa sott’acqua. Ciascuno di questi slogan, per quanto a me sembri impossibile, ha una sua dose di attrazione: c’è una fetta di società, là ma forse anche qua, che si eccita, e l’eccitazione è una forma di gradimento.

Anche dire «deporterò 3 milioni di clandestini» (o anche 11, dipende dai giorni) ha una sua suggestione. Questi slogan non li approviamo, non li accettiamo, ma possiamo capire che portino voti, che nel quadro machiavellico di una battaglia elettorale vengano usati. Quel che non riusciamo a capire è perché sia stata pronunciata un’altra frase, a proposito di un disabile. Il quale era un giornalista del “New York Times”, e aveva intervistato Trump. Evidentemente Trump non deve aver gradito qualche domanda, e allora rende conto dell’incidente ai suoi fans in questi termini: «Dovevate vederlo, povero ragazzo... », e storce la faccia, la bocca, le braccia, le spalle. Il giornalista soffre di una malattia che si chiama artrogriposi, e che dà appunto quei contorcimenti. Dunque, Trump lo scimmiotta per dileggiarlo. Perché Trump abbia pensato (o, peggio ancora, perché lo abbia pensato il suo staff elettorale, che guidava la sua campagna), che mimare e deridere una persona per la sua malattia sia utile ad attrarre elettori, a raccogliere consensi, applausi, voti, mi sfugge. Ma evidentemente è un limite mio, visto che così è andata.

Cercavamo di capire la destra militare, la destra politica, la destra economica, la destra sociale. In queste aree si schierano anche intellettuali di grande peso, artisti, attori, registi, giornalisti, politici. Dissento ma discuto. Ed ecco arriva la destra esistenziale, con per di più un passato di sinistra (perché questa è la storia “politica” dell’impolitico Trump). Tu vedi uno con un handicap, e sghignazzi. È appena uscito il discorso del Papa che condanna le società dove ci sono «persone scartate», e ci domandavamo come si fa a scartare le persone. Ecco come: vedendo un disabile, ti diverti della visione e spartisci il tuo divertimento con i tuoi, per raddoppiarlo. Tu vivi la tua vita, che è bella ricca felice, se un altro ha una vita con problemi, sono problemi suoi e non tuoi.

C’è una domanda nello Zarathustra di Nietzsche che dice così: «I vermi, nel pane della vita, son necessari?». No, evidentemente, non sono necessari, per mangiare quel pane devi prima “scartare” quei vermi. È un’idea “selettiva” dell’umanità. Sto esprimendo un pensiero personale. Compito di un capo è aumentare la felicità di tutti. Ma qui la propria felicità pare consista nell’aumentare l’infelicità altrui.

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