Il mondo è cambiato dagli anni 70. Ma la differenza è nel consenso alla morte
martedì 10 ottobre 2017

Caro Avvenire, mi è capitata tra le mani una vecchia foto. Mi ritrae, dodicenne, nel 1973 a Londra, giusto sulla soglia del numero 10 di Downing Street, residenza del Premier britannico. Più che i miei pantaloni a zampa di elefante e il maglioncino attillato balzano all’occhio tre poliziotti, disarmati e privi di giubbotto antiproiettili che un po’ defilati chiacchierano tranquilli come fossero al circolo del dopolavoro, apparentemente incuranti di ciò che accade proprio sulla porta del Premier. Due dei bobby sono in maniche di camicia, uno a braccia conserte. Nessuno dei tre degna di uno sguardo l’estraneo, che tocca la porta semiaperta. Il titolo della foto potrebbe essere: 'Quanto è cambiato il mondo'. Oggi (da troppi anni ormai) non si accede neppure alla via che ospita l’edificio del Primo Ministro.

Teresio Asola Torino

Quella Londra dei primi anni 70 dove le famiglie italiane cominciavano a mandare i figli a studiare l’inglese, la ricordo anche io: pantaloni a zampa d’elefante e minigonne, e da Carnaby Street gli ultimi echi della swinging London – la Londra oscillante, danzante degli anni dei Beatles, le cui voci si ascoltavano ovunque. E la Tube, la metropolitana, correva nelle viscere della città, e nessuno che, nella folla disciplinata e già allora multietnica dei pendolari, si impensierisse, per una valigia casualmente abbandonata. Sarei tentata quindi di darle ragione, signor Asola, e di dire che quelli erano bei tempi. Ma, se appena ripenso a quegli stessi anni in Italia, mi torna in mente una mattina di dicembre del 1969, in classe, era l’ora di geografia quando sentimmo un improvviso boato, lontano, dal centro della città. E non capimmo cos’era stato, e non ci facemmo nemmeno molto caso, perché era inconcepibile per noi, bambine degli anni 60, pensare a una bomba nel cuore della 'nostra' Milano, in piazza Fontana, accanto all’Arcivescovado. E mi torna in mente anche una mattina di maggio del 1973, dal mio liceo a Brera si sentirono di colpo ululare decine di sirene – un attentato davanti alla Questura. E piazza della Loggia a Brescia, 1974? E poi Milano, la sera, cupa e deserta, nell’angoscia degli anni di piombo? E dunque non erano poi così lieti quegli anni Settanta, quanto potremmo forse essere tentati di pensarli, perché eravamo giovani noi. Certo, oggi il terrore è diventato globale e colpisce in ogni angolo del mondo, e mai più sarebbe possibile trovare la porta di Downing street numero 10 socchiusa, con gli agenti che distrattamente chiacchierano, davanti. Oggi il mondo intero è obiettivo di un vasto, ramificato terrorismo islamista. Ma tanto ignara e innocente era la gente nella banca di piazza Fontana, quanto ora le vittime di Nizza, o di Londra. Che cosa allora ci fa vivere come nel cono d’ombra di un’angoscia di cui cerchiamo di non parlare, ma che avvertiamo addosso? Forse la semplicità, accessibile a chiunque, di attentati compiuti con un camion o un furgone lanciato sulla folla, e la coscienza che un simile terrorismo diffuso è ben difficilmente contrastabile. Forse, e anche di più, ci opprime il pensiero che i terroristi jihadisti non temono di sacrificare la loro vita, non hanno nemmeno più questo istintivo limite a frenarli. E dunque ci appaiono quasi altri da noi, inarrestabili, macchine di morte che poco conservano di umano. In questo senso sì, la foto della porta di Downing Street numero 10 con i poliziotti rilassati e un ragazzino coi pantaloni a zampe di elefante ci dice come è cambiato il tempo, da un mondo in cui si era anche nemici o terroristi, e però ciascuno, dalla sua parte, voleva vivere. È il consenso alla morte il crinale che ci divide da pochi anni fa, e ci fa sentire come se fossimo entrati in un’altra era, orbata delle coordinate dell’umano.

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