Caro direttore,
le ultime settimane sono state segnate da due interessanti e puntuali documenti di vescovi meridionali: il primo di don Mimmo Battaglia, arcivescovo di Napoli, e il secondo della Conferenza episcopale calabrese. Entrambi si soffermano sul significato intrinseco della politica, rivolgendosi a chi la esercita e riflettendo sull’adeguatezza del percorso per raggiungere il Bene comune. Il fil rouge che lega questi documenti è la disastrata realtà politico- sociale del Mezzogiorno e la necessità, nell’imminenza delle amministrative, di porre il Piano nazionale di ripresa e resilienza imposto dal Covid al centro di una strategia, che non potrà compiersi senza un impegno sincero e responsabile dei cattolici.
La 'questione meridionale' tutt’altro che risolta, riaffiora in termini e dimensioni diverse: in questo momento storico, infatti, si presentano diverse situazioni favorevoli da cogliere al balzo. Il nuovo contesto geo-politico del Mediterraneo, il mutamento strategico e il grande sforzo economico e inclusivo dell’Unione Europea, la situazione economica dell’Italia, 'grande malato d’Europa', offrono una chance irripetibile per una possibilità di ripresa. È cambiata, del resto, la situazione nel Mediterraneo. Questo mare connette l’Atlantico con l’Indo-Pacifico attraverso lo stretto di Suez, dove passa il 12% di tutte le merci mondiali. Ciò avviene nella sua parte occidentale, in cui l’Italia, con la Sicilia e il Meridione continentale, assurge a posizione baricentrica, occupando il lato nord del Canale di Sicilia.
A oggi la stragrande maggioranza delle merci per l’Europa non raggiunge i 'naturali' approdi italiani; passa da Gibilterra, risalendo l’Atlantico e raggiungendo i grandi porti del Mare del Nord con dispendio economico e gravi danni ecologici. Questa situazione favorisce i Paesi franco-germanici, a cui è gradita l’assenza di una concorrenza italiana per la cronica inadeguatezza logistica dei nostri porti e retroporti. Con il nazionalismo sempre più accentuato della Russia a est e la perdita di gran parte del controllo della Manica dovuto alla Brexit a ovest, il Mare del Nord potrebbe diventare poco praticabile e condizionare i rifornimenti dei Paesi che vi si affacciano. E questo è causa di un cambiamento della prospettiva strategica della Ue e della necessità di un rafforzamento strutturale dei confini (italiani) del sud dell’Europa.
Ecco perché è ridiventato improcrastinabile il ripristino di un ruolo centrale dell’Italia nel Mediterraneo oggi ritenuto, dagli stessi Paesi che lo avversavano, vitale per i propri interessi e per quelli dell’intera Europa. Una svolta supportata dall’asse franco-tedesco e tradottasi concretamente nello sforzo finanziario dell’Unione verso l’Italia. Il nostro Paese è chiamato a svolgere una funzione centrale nei traffici marittimi asiatici, nordafricani ed europei, ponendo la 'logistica a valore Mediterraneo' come snodo centrale. Queste novità comportano un approccio nuovo e innovativo alla questione meridionale.
Oggi, l’analisi dell’economia italiana deve partire dalla situazione dell’Italia centro- settentrionale, da troppi anni statica se non in decremento. Va costruito, dunque, un progetto equilibrato che avvantaggi tutto il Paese e garantisca alle regioni del Nord non un ritorno all’asfittica crescita pre-pandemica, ma un rilancio olistico dell’economia nazionale, con tassi annuali di (diversa) crescita del 2-3% o superiori. Non si può negare la natura fortemente dualistica del sistema Nord-Sud, ma è sempre più evidente che solo favorendo la creazione di un secondo polo di sviluppo al Sud, parallelo e competitivo, si può pensare a un risanamento strutturale dell’economia nazionale. Al tradizionale polo trasformativo del Nord, va aggiunto un polo logistico distributivo al Sud che, oltre a rispondere alle esigenze di approvvigionamenti dell’Europa del Nord, diventi funzionale anche alle aree industriali settentrionali. Va dunque sviluppata una rete di porti accoglienti, zone economiche speciali, retroporti e interconnessioni.
Questo è il nuovo paradigma di sviluppo dell’intera economia italiana in cui il Meridione può diventare finalmente compartecipe e protagonista. Solo oggi registriamo del resto volontà politico-strategiche europee per la prima volta favorevoli, e fondi adeguati per finanziare una tale trasformazione. Non possiamo perdere questa straordinaria chance. Tuttavia, all’attuale governo di larghissima coalizione, rischia di mancare la determinazione a misurarsi con le forze politico- sociali e imprenditoriali del Nord su questa realtà, superando una visione di ritorno allo status quo ante.
Proprio su questa preoccupazione si incrociano i dubbi dell’arcivescovo di Napoli, che si interroga su quanto dei fondi europei arriverà effettivamente alle terre meridionali. A loro volta i vescovi calabresi ribadiscono che perché i fondi del Pnrr siano un vero investimento sul futuro, si deve produrre anche in quella Regione un cambiamento di competenza e una nuova coesione fra pubblico e privato, facendo sì che l’opportunità storica per il Sud non venga vanificata. La riflessione strategica delle Chiese locali è una risorsa di qualità in ogni latitudine, e sarà incisiva nella misura in cui riuscirà a risvegliare la coscienza e e la dignità civica di tutti gli italiani. Solo una svolta nell’impegno politico di cattolici e laici potrà promuovere una trasformazione inclusiva del Sistema Paese, all’insegna dell’etica della responsabilità.
Medico chirurgo, presidente Aidu (Associazione italiana docenti universitari)