Ridurre la portata negativa di una norma nata male
martedì 9 maggio 2017

Caro direttore, ora che la Camera ha terminato il suo lavoro, migliorando sensibilmente il testo del provvedimento su consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento rispetto alle intenzioni originarie dei proponenti, e mentre si sta iniziando l’iter in Senato, è giunto il momento di chiedersi se c’era davvero bisogno di una simile legge.

Certamente no, se l’intenzione era di evitare situazioni di ostinazione terapeutica. La medicina ha superato ogni tentazione in tal senso e, se non fosse bastato, le esigenze di controllo della spesa sanitaria e l’intervento degli ordini dei medici avrebbero potuto dissuadere qualunque nostalgia di accanimento. Lo stesso dicasi se si voleva garantire la possibilità di rifiutare l’avvio di trattamenti non desiderati. La redazione del consenso informato è obbligatoria negli ospedali e un medico non potrebbe imporre trattamenti senza ricorrere all’intervento dei carabinieri ed esponendosi a rischi e rivendicazioni. L’obiettivo reale era evidentemente un altro: permettere l’interruzione di qualunque trattamento.

A questo scopo, si è arrivati all’assurdo di definire ex lege terapie anche l’idratazione e la nutrizione assistite, per renderle rifiutabili in qualunque momento. Non sarebbe stato un problema, se la possibilità di sospensione fosse stata limitata ai trattamenti inappropriati, sproporzionati o troppo onerosi per il paziente, avendo per scopo l’appropriatezza clinica o il rispetto della capacità del paziente di tollerare le cure. Ma idratazione e nutrizione, per quanto assistite, molto raramente hanno caratteristiche d’inappropriatezza, sproporzione o eccessiva onerosità.

Generalmente, inoltre, non servono a curare la patologia da cui il paziente è affetto, ma solo a tenerlo in vita. Riconoscere un generalizzato diritto alla loro sospensione significa rendere possibile affrettare la morte di un paziente che non stava morendo per la sua malattia, facendolo intenzionalmente morire per disidratazione e denutrizione. Equivale cioè a legalizzare suicidio assistito ed eutanasia omissiva, all’interno delle strutture sanitarie. Un’equivalenza negata ostinatamente solo per anestetizzare l’opinione pubblica, nella convinzione, tipica dell’antilingua, che per cambiare la natura delle cose basti cambiare il loro nome. Consapevoli, tuttavia, che si trattava di un’operazione fraudolenta e che si autorizzavano condotte contrarie al Codice Penale (articoli 575, 579 e 580), ci si è premurati di escludere ogni responsabilità civile e penale per gli esecutori delle future scelte di morte. L’ostinata negazione della valenza eutanasica del provvedimento ha consentito di riconoscere il diritto del medico all’obiezione di coscienza solo in molto ambiguo e senza comunque riuscire ad allargare tale diritto alle strutture sanitarie che, come quelle cattoliche, operano in base ad altri riferimenti valoriali.

È facile prevedere lo sviluppo di contenziosi per chi dovesse opporre dinieghi alle richieste. La Commissione Igiene e Sanità del Senato ha incominciato in questi giorni a occuparsi di questa legge nata male. C’è ancora molto da fare per ridurne la portata negativa.

*Presidente del Movimento per la Vita

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