Violante: la difesa della vita priorità della politica
«Occorre ricostruire, anche laicamente, la sacralità della vita e della morte per non diventare preda del cinismo»: l’analisi dell’ex presidente della Camera della crescente «insensibilità alla mo

Nel tempo che stiamo vivendo non è facile nutrire speranza. L’orizzonte dell’umanità sembra ostruito. La forza prevale sul diritto; la convenienza prevale sull’etica; troppo spesso il diverso diventa straniero e lo straniero diventa nemico. A Kiev, Gaza, Tel Aviv, Teheran i sistemi di intelligenza artificiale distruggono i loro obiettivi a una velocità superiore alla intelligenza umana, tale da cambiare l’equilibrio tra soldati e tecnologia. Quando individuare e colpire i bersagli diventa questione di pochi secondi, l’uomo è sostanzialmente sostituito da una macchina capace di decidere in autonomia. Oggi la morte e i fattori di morte non trovano alcun impedimento. Sono in corso circa sessanta guerre con centinaia di migliaia di uccisi; si muore affogati nel Mediterraneo o di stenti nelle foreste dei Balcani, mentre si cerca una nuova patria.
In diversi paesi civili si muore per effetto di leggi disinvolte sull’eutanasia. Il Comitato delle Nazioni Unite per i diritti delle persone con disabilità ha pubblicato le sue osservazioni conclusive sul rapporto presentato dal Canada relativo applicazione in quel paese della legge sull’eutanasia. La Maid ( Medical Assistence in Dying) sta diventando una forma di aiuto pubblico a chi non ha assistenza sanitaria, è senza lavoro o senza dimora e versa in condizioni di esclusione. Povertà, disoccupazione, carenza di welfare diventano così fattori che spingono alla disperazione e a chiedere la morte. Nel mondo di ieri ci siamo battuti per la libertà di manifestazione del pensiero. Oggi non basta; dobbiamo difendere anche la libertà di costruzione del pensiero, quella che giuristi chiamano libertà cognitiva. Sono in corso molteplici tecniche di manipolazione dei convincimenti personali e collettivi per ottenere risultati politici. In Romania la Corte Costituzionale ha annullato il 6 dicembre scorso il primo turno delle elezioni presidenziali, perché manipolate da un “attore statale”. Nel 2021 il Cile ha approvato un emendamento all’art. 19 della propria Costituzione «per proteggere l’integrità e l’immunità del cervello dai progressi e dalle capacità sviluppate dalle neuro tecnologie». Successivamente la Corte Costituzionale cilena, prima al mondo, lo scorso 8 agosto 2023, ha affermato che anche i device destinati a tracciare l’attività celebrale delle persone per “uso privato” devono essere autorizzati dalle autorità sanitarie; quando i dati acquisiti dovrebbero essere trattati per uso scientifico, il consenso prestato dall’utilizzatore deve essere informato, espresso, specifico sugli scopi della ricerca e dinamico, ossia richiesto ogni volta che lo scopo della ricerca muta nel tempo. La Cina ha investito alcuni milioni di dollari in programmi di guerra cognitiva, che significa strategia di manipolazione della opinione pubblica di paesi avversari.
Forse siamo oltre il cambiamento d’epoca di Papa Francesco, richiamato giustamente da don Vincenzo Paglia su questo giornale; forse siamo oltre il passaggio tra il vecchio e il nuovo; forse siamo già nel nuovo. Di qui l’incertezza, il turbamento, l’assenza di futuro; prevale la disperazione o lo sfrenato consumismo per riempire il vuoto che si ha dentro. Tuttavia, proprio in questi momenti è più forte la necessità della speranza, dell’agire per superare i limiti della condizione presente. Agire per governare il nuovo. È facile avere speranza quando tutto è roseo. Diventa difficile quando sembra che ogni strada sia chiusa da cancelli dei quali non possediamo le chiavi. Occorre forza d’animo, coraggio, capacità di decisione. In questi tempi il mestiere di uomo o di donna può richiedere a volte un impegno ulteriore, una capacità di riflessione aggiuntiva, una determinazione più spiccata. È la vita stessa che chiede un impegno per poter avere un senso. Nella opinione comune la speranza evoca l’idea di passività e di rassegnazione. Ernst Bloch ha proposto il superamento di questa immagine. Con Il principio di speranza, pubblicato nel 1953, Bloch costruisce la categoria del «nonessere- ancora» che tiene insieme la «speranza nella redenzione » cristiana e la prospettiva di cambiamento marxista. Secondo questa prospettiva, lo sviluppo storico si realizza se l’uomo si dimostra capace di immaginarlo e di agire per realizzarlo. Questa capacità di immaginazione è la speranza, che diventa impegno, movimento; non stasi, non attesa. Eric Fromm ha spiegato che la speranza è «un momento essenziale della vita umana, rappresenta il profondo bisogno dell’essere umano di non essere passivo e manipolato».
La speranza è un pensiero in continua tensione, è la virtù, ha detto l’attuale Pontefice, che ci permette di andare avanti persino quando gli ostacoli sembrano insormontabili. Tuttavia esistono due tipi di speranze, una falsa e l’altra vera. La prima è quella che attende che qualcosa accada, senza far nulla che possa realizzare l’accadimento. La seconda, quella attiva, si anima ogni volta che non ci si accontenta e ci si impegna per cambiare le cose, rinnovando la fiducia in sè stessi e negli altri. A questa idea di speranza è associata l’idea dell’utopia. L’utopia è al centro dell’opera omonima di Tommaso Moro (1516), della Città del Sole di Tommaso Campanella (1602), della Nuova Atlantide di Bacone (1624). Qui parliamo della utopia concreta, quella delle impossibilità relative e delle emancipazioni assolute. L’utopia realistica non è un vuoto sognare; è l’applicazione della intelligenza alla costruzione del futuro. In una lettera del settembre 1843, Marx scrive al filosofo Arnold Ruge: «Così si vedrà che da tempo il mondo ha il sogno di una cosa, di cui deve solo aver la coscienza per averla realmente». Quella considerazione di Marx può valere per il nostro tempo? Abbiamo il sogno di un obbiettivo, ma non sappiamo chiamarlo o forse non ne abbiamo la consapevolezza. C’è un rapporto tra la speranza e l’utopia realistica da una parte e la vita e la morte dall’altra. Se non c’è una speranza attiva, se manca una utopia realistica non c’è futuro, non c’è impegno per la vita e prevale la morte. Dobbiamo essere consapevoli del primato della morte nelle nostre società e della conseguente sottovalutazione del valore della vita.
L'insensibilità alla morte di milioni di persone, procurata da deliberate scelte politiche, porta allo sfaldamento dei legami culturali che tengono insieme l’umanità. Per ricostituirli è necessaria una cultura della vita contro una cultura della morte. Cultura della vita significa reclamare innanzitutto la difesa della vita come dovere prioritario delle autorità politiche. Occorre ricostruire, anche laicamente, la sacralità della vita e della morte, per non diventare preda del cinismo. È sacro ciò che è unico e non può essere riprodotto; la vita e la morte sono sacre proprio perché sono uniche e non possono essere riprodotte. Oggi si chiede la pace. Non basta, bisogna battersi per la vita. La vita è più della pace perché riguarda le persone, mentre la pace riguarda gli Stati. Le ragazze iraniane hanno rischiato il carcere gridando “donne, vita, libertà”; non chiedevano la pace, chiedevano la vita, perché dal rispetto della vita nascono la libertà e la pace.
Non ci si può ridurre a galleggiare nel presente. Il futuro non può essere abbandonato nelle mani della finanza o della tecnica lasciando alla politica l’amaro compito di gestire il presente. Se chi ha responsabilità politiche cercasse invece di indirizzare la propria azione verso una società che si proponga concretamente l’uguaglianza delle opportunità, la piena formazione delle generazioni più giovani, efficaci politiche del lavoro, dei salari e della ricerca, sostenendo chiaramente che intende costruire una società nuova e diversa, forse creerebbe quella coscienza di cui parlava Marx al suo amico Ruge. In questa società non ci sarebbe spazio per la morte; ci sarebbe molto spazio per la vita. È certamente difficile, ma bisogna convincersi che senza alcune rotture non è possibile il progresso civile, che è continuo superamento del presente.
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