venerdì 21 settembre 2012
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​I fattacci della cronaca nera ti colpiscono di più se vivi nella zona dove avvengono. È quel che succede a me, in questi giorni, col fattaccio dei due coniugi uccisi a Lignano da due fratelli cubani. Ora han trovato uno dei due assassini, la sorella. Ha confessato. Probabilmente si accusa più di quanto può aver fatto, nel tentativo di proteggere il fratello, che nel frattempo è scappato. Tutti coloro che, come me, scrivono libri, di fronte a un nuovo delitto orrendo pensano all’uccisione di Pier Paolo Pasolini, e al ragionamento che ne faceva Moravia: «Chi ha ucciso Pasolini? – si chiedeva –. I Greci avrebbero risposto: il Fato. I Cristiani: il Male. Noi oggi rispondiamo: il Nulla». È un ragionamento che non sono mai riuscito ad accettare, per una semplice ragione: se c’è un ucciso, c’è un uccisore, e l’uccisore ha commesso una colpa, è giusto che la espii. Non è giusto "per noi", è giusto "per lui". Cioè, per lui non è soltanto un dovere, è anche un diritto. Lui deve riacquistare la sua dignità di uomo, e soltanto espiando la può riacquistare. Negandogli l’espiazione, gli neghiamo un diritto. Dicendo, come faceva Moravia, «a uccidere è il Nulla», annulliamo la colpa, la responsabilità, la giustizia. E negando la giustizia, peggioriamo il mondo. Ma sia chiaro: nell’affermare che a uccidere Pasolini (e quindi a uccidere questi due poveri coniugi, a casa loro, non lontano da casa mia) è stato «il Nulla», Moravia pronunciava un  giudizio sovraccarico di significati, non è facile metterlo da parte. Nella realtà, a uccidere Pasolini era stato un "ragazzo di vita", allora minorenne.Quando tu l’hai preso (lo catturarono la mattina dopo, girava con l’Alfa di Pier Paolo), lo hai interrogato e sai chi è, scopri che dentro di lui ci sono tanti altri, ognuno contrasta con l’altro, quel che noi chiamiamo lui è la somma di tutti questi, e la somma dà un’elisione. Ben prima di Moravia c’era un libro di Pirandello, nel quale il protagonista è riassunto nel titolo: «Uno, nessuno e centomila». In quanto uno, quel personaggio fa quello che fa. In quanto nessuno, non fa niente. In quanto centomila, fa tutto e il contrario di tutto. Se è uno, è giudicabile. Ma non è uno, è nessuno e centomila. Allora è ingiudicabile e incondannabile. È quel che dice la psicanalisi. Nella psicanalisi, colui che va a farsi analizzare (o meglio ad analizzarsi) scopre un po’ alla volta gli infiniti che stanno dentro di lui, per i quali lui fa quel che fa. La psicanalisi analizza, ma non condanna. Ma (aggiungo qui) è una buona analisi se porta chi si analizza a vedere se quel che fa è bene o male, e se va cambiato, se lui deve cambiare. Se colui che va in analisi ha ucciso, l’analisi funziona se glielo fa capire, e se lui dopo si comporta di conseguenza. Questo è bene per il mondo, per l’umanità. Se infatti a uccidere è il Fato, l’umanità è incolpevole, e il diritto muore. Se a uccidere è Nessuno o il Nulla, allora uccidere diventa più facile, perché lo fai, ma non sei tu. Uccidere diventa una responsabilità solo se a uccidere è il Male, perché il Male va condannato. Nello stabilire la condanna puoi tenere conto di tutte le cause che hanno portato al delitto, ma non puoi ignorare che il delitto c’è. È anche questione di pietà: se dobbiamo provare pietà verso il più debole, quello che ha subìto il danno, allora l’ucciso ha subìto il massimo dei danni e merita tutta la nostra pietà. Va risarcito. Con la sentenza. Se le tre risposte di Moravia (a uccidere è il Fato, il Male, il Nulla) vogliono indicare tre epoche storiche (civiltà greca, cristiana, moderna), non indicano un progresso etico: abbandonando la giudicabilità e la condannabilità del male, noi, eticamente, subiamo una perdita.
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