mercoledì 27 luglio 2011
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Padre Taddeo Nguyen Van Ly è un sacerdote vietnamita di 64 anni. A parte la cerchia degli addetti ai lavori, il suo non è un nome molto noto. Eppure quanti hanno a cuore i diritti umani e tutti coloro che amano la libertà farebbero bene a prendere nota della vicenda che lo riguarda e a imparare il suo nome. Perché ieri padre Nguyen è stato nuovamente arrestato, nonostante la sua salute sia ben più che malferma (il sacerdote è parzialmente paralizzato e gli agenti incaricati dell’arresto, bontà loro, si sono presentati al religioso accompagnati da un’ambulanza).La colpa di padre Van Ly? Battersi per le libertà civili e figurare tra i membri fondatori del "Blocco 8406", un movimento sorto nel 2006 e che, forte di non più di duemila aderenti, si spende con coraggio per il pluripartitismo in Vietnam. Un impegno deciso, il suo, che è già costato al coraggioso sacerdote ben 14 anni di carcere. Nel 2001, infatti, padre Nguyen era stato condannato a 15 anni di reclusione per aver inviato una testimonianza-denuncia alla Commissione internazionale per la libertà religiosa. Uscito di prigione nel 2005, due anni dopo era stato arrestato di nuovo e, dopo un processo sommario (oggetto di proteste internazionali) è stato condannato a 8 anni di carcere. L’accusa? Quella classica con cui i regimi comunisti bollano i dissidenti: «comportamento criminale» e «minaccia alla sicurezza nazionale». L’ultima volta era stato rilasciato nella primavera dell’anno scorso, a motivo delle gravi condizioni di salute. Stavolta, però, pietà l’è morta.Proprio la precarietà della sua condizione fisica, assieme alle critiche piovute sul regime da parte di alcuni gruppi per i diritti umani e dei governi occidentali, avevano spinto le autorità a sospendere la prigionia per un anno, obbligando padre Ly agli arresti domiciliari. Ma lui, armato della sola tenacia dei miti e dei non violenti, aveva ricominciato a denunciare le violazioni dei diritti umani nel suo Paese. Di qui il nuovo arresto.Con questo gesto le autorità di Hanoi sembrano contraddire – o almeno interrompere bruscamente – un processo di "disgelo" che pareva, sin qui, avviato su binari promettenti. Risale all’estate 2010 la notizia dell’accordo raggiunto tra le autorità di Hanoi e la Santa Sede per la nomina da parte del Papa di un rappresentante non residente della Santa Sede presso il Vietnam, in vista di una normalizzazione dei rapporti. A riprova di questa atmosfera positiva, c’è il fatto che negli ultimi anni si era persino ipotizzato un viaggio di Papa Benedetto XVI (che ancora non ha visitato l’Asia) proprio in Vietnam. Non che la libertà religiosa sia una conquista definitiva, da quelle parti: resta aperta più di una questione tra cui quella, annosa, della restituzione dei beni ecclesiastici. E tuttavia, come detto, il barometro pareva segnare al bello. Non sarà il nuovo arresto di padre Van Ly – lo vogliamo sperare – il segnale di un inasprimento ulteriore della politica governativa. Così come vogliamo sperare che resti un episodio isolato quella frase di Benedetto XVI polemicamente rinfacciata da un funzionario di Hanoi ad alcuni religiosi, accusati di «fare politica». Rivolto ai vescovi vietnamiti in visita ad limina, il Papa aveva detto: «Un buon cattolico è anche un buon cittadino».Ne è convinto anche padre Van Ly, che si batte, spendendosi di persona, proprio per raggiungere questo traguardo: dimostrare che la libertà della persona (politica, religiosa…) e il bene comune non sono in antitesi fra loro. Ma, al contrario, sono presupposto e garanzia reciproca.
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