lunedì 10 febbraio 2014
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L’eco delle bombe accompagna il suono del pianoforte. Tra le vie di Camp Yarmouk, il più grande campo profughi palestinese di Damasco, 137.000 persone ospitate, Ahmad Ayahm sta suonando. Molti si fermano, lo ascoltano, alcuni lo accompagnano. Il pianista tra le macerie, prima della guerra costruiva e riparava strumenti musicali con il padre. Ora nella capitale siriana non esistono concerti, come non esiste teatro, ma resiste, approssimata su un pianoforte sgangherato, la musica. Chi passa si ferma e canta.Gli strumenti che il giovane costruiva sono distrutti nelle macerie, gli spartiti stracciati. Ma la musica non scompare con strumenti e spartiti, la musica è nell’uomo, o meglio lo visita, lo incita a una forma spirituale ed eroica di resistenza. Riporta l’armonia delle sfere che Platone vide in stato estatico e descrisse, nelle voci delle Muse e delle Sirene, in un campo dove soltanto negli ultimi due mesi sono morte di stenti 86 persone.Da domani, in Svizzera, si tenterà di riannodare i fili del dialogo tra fazioni in acerrima e spietata lotta, ma intanto questa musica, nella città bombardata, si oppone allo strazio della guerra, rivela, fa ricomparire, tra le rovine e la morte, il sogno della felicità primigenia. Uno spiraglio di umanità sembrava venire da Homs, con l’assenso a una tregua per far allontanare i civili più deboli – i bambini, le donne, gli anziani – e per portare soccorsi a tutti, dopo 600 giorni di un assedio soffocante e sanguinoso. Ma anche nel momento del breve cessate il fuoco le armi vigliacche non tacciono e fanno risuonare il loro spartito di distruzione. Ahmad dice no alla barbarie con l’arte. Non è l’unico musicista che suona dalle rovine, tra le rovine e lo schianto. Fa parte di un piccolo drappello di resistenti dell’anima.Un suo collega suona un pianoforte verticale all’interno della City Hall di Kiev, nasconde il suo volto con un passamontagna, dicono che il suo fraseggio sia lieve e preciso, nonostante lo strumento scassato. Fa anche teatro, nel senso primitivo e rivelante del termine (teatro significa "visione rivelante"): indossa, oltre al passamontagna, un casco, e veste l’abbigliamento paramilitare delle "guardie della rivoluzione". La temperatura è gelida, ma il pianista resiste anche al freddo terribile. Scalda l’aria con la musica. Ha vent’anni, ha studiato  in una scuola musicale dell’Ucraina. Lo definiscono «il musicista estremista»: lo è di fatto, anche se non conosciamo le sue idee politiche, poiché è un atto estremo contrapporre alla violenza, non lontana, ma presente su te e chi ti circonda, la forza della musica."The power of love" recita una bellissima canzone di Jennifer Rush, "La forza dell’amore", ed è vero. Come è vero che non c’è distinzione tra repertorio classico, rock, pop, folklore: la musica è una, ed è la voce dell’anima che l’uomo fa propria. Non a caso grandi artisti rock, certo ricchi e famosi, e proprio perché ricchi e famosi, e grandi direttori d’orchestra come Abbado e Muti, si sono profusi in iniziative di umanità, solidarietà e pace. Colleghi, loro, del meno bravo ma non meno artista di Damasco. Colleghi di chi suona le note di O sole mio al centro della piazza Tahrir, mentre si scontrano i dimostranti e l’esercito. E dell’italiano Davide Martello, una che sa rispondere al dolore con Beethoven a piazza Taksim, a Istanbul. Beethoven, il canto delle Muse, la più modesta ma toccante O sole mio, che invoca e loda il sole come San Francesco, il sole che alimenta la vita e fa splendere il volto del mondo.Lo scenario delle guerre, delle bombe, dei profughi, della disperazione, vede una resistenza inaudita: l’anima che si fa musica, il cuore che resiste, fermamente legato alle stelle e alla luce e all’armonia degli astri, portata tra gli umani, questo è il senso della musica, questo è il senso della vita che canta e non demorde. La gente di Siria vuole risentire quella melodia di pace che solo i più coraggiosi sanno suonare.
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