venerdì 9 novembre 2012
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L’ oro, nella storia di tutte le civiltà, è sem­pre stato più di un metallo. Il suo sim­bolismo è tra i più ricchi e profondi, e si in­treccia anche con i linguaggi religiosi e con quelli di molti miti fondativi delle comunità, a partire dal matrimonio. Per questo, vende­re gli ori di famiglia è sempre un atto quali­tativamente diverso dal vendere altre merci, poiché quegli ori raccontano storie familia­ri, eredità, e soprattutto doni. Ed è quasi sem­pre un atto doloroso, perché quel (poco) de­naro che viene dato in contraccambio è in­finitamente più povero e triste di tutta la ric­chezza relazionale, e quindi simbolica, che si celava sotto quelle catenine, quei bracciali, quegli anelli.
Ecco perché se andiamo a ve­dere chi sono coloro che si rivolgono ai com­pro oro, nella quasi totalità si tratta di pove­ri e disperati, persone sulla cui indigenza e di­sperazione prosperano mercanti per profit­to, quando non vere e proprie reti criminali, come è venuto alla luce col blitz di ieri della Guardia di finanza, che con oltre 250 per­quisizioni in tutta Italia ha sequestrato beni per più di 160 milioni di euro. E così il più nobile e ricco dei metalli sigilla l’atto, a volte estremo, dei meno ricchi delle nostre società. Oggi, come ieri.
La vendita degli ori è at­to e fatto antichissimo, come an­tichissima è l’esperienza antro­pologica del cadere in disgrazia, a volta senza colpa. Se andassi­mo a incontrare e a farci raccon­tare le storie di questi venditori di oro, troveremmo disoccupati, im­prenditori indebitati per la crisi, magari pensionati e pensionate soli con un reddito troppo basso per vivere e curarsi; e chissà quanto altro ancora. Fino a po­chi decenni fa, quando ancora il nostro Paese era capace di tra­durre in istituzioni la sua identità cristiana e comunitaria, a racco­gliere questa offerta disperata di ori erano i Monti dei Pegni, o i Monti di Pietà, istituzioni nate a partire dal secondo Quattrocen­to, dapprima nell’Italia centrale (i primi ad Ascoli, Spoleto, Peru­gia), e poi in tutta l’Italia e in altri Paesi europei. Furono inventati dai francescani, i quali, amanti veri di 'madonna povertà' e dei poveri, capirono carismatica­mente che se un povero che vive una fase di grave difficoltà eco­nomica si rivolge al 'mercato for profit', finisce nella grande mag­gioranza dei casi per peggiorare, e di molto, la sua condizione.
Gli scambi effettuati in oggettivo stato di necessità sono immorali e sbagliati, come ci suggerisce an­che una delle letture del grande racconto biblico della vendita di Esau della sua primogenitura per fame (il 'piatto di lenticchie'). Lo scopo di quegli antichi Monti e­ra 'la cura della povertà', poiché le banche non prestavano (e continuano a non prestare) ai poveri, e questo vuoto fini­va per colmarlo l’usura. La presenza dei fran­cescani, e poi nel corso dei secoli di molti al­tri carismi, era essenziale: una garanzia eti­ca ed economica che chi accoglieva quegli ori e quei pegni non avrebbe usato la sua con­dizione di potere e di asimmetria contro quei poveri, ma per loro e per il Bene comune.
I Monti dei Pegni si sono estinti, non solo per una normativa del credito sempre più com­plessa, e sempre meno capace di capire i po­veri e le loro esigenze; ma anche perché so­no venuti meno i carismi civili, persone e i­stituzioni che sentivano di investire rispon­dendo in modo creativo alle stesse 'doman­de' che avevano originato i Monti di Pietà. Oggi, anche per la crisi che stiamo vivendo e che colpisce di più i più poveri, è urgente che il civile faccia di più anche sul fronte dell’ac­cesso al credito dei poveri. Il microcredito moderno, ripartito con Muhammad Yunus in Bangladesh, ha tentato qualcosa del ge­nere, quando ha reso bancabili i poveri sen­za le classiche garanzie bancarie, grazie a ve­re innovazioni civili, e quindi finanziarie ed economiche. 
In Italia, e in generale in Occidente, non c’è ancora una risposta economi­co- finanziaria adeguata alle esigenze dei veri poveri, che non può venire in questo momento dallo Stato, ma dalla gente e dalla società civile. Occorro­no nuovi 'francescani', nuovi carismi civili che inventino istituzioni che, ana­logamente agli antichi Monti dei pegni, siano delle innovazioni economiche, non solo assistenza. I Monti di Pietà furono, soprattutto nella prima fase, in­novazioni importanti per lo sviluppo economico dell’Italia moderna, perché in­clusero gli esclusi.
Il mercato svolge veramente la sua funzione civile, e la sua vocazione umanizzante, quando include chi è ancora 'fuori' per un mutuo vantaggio (di chi include e di chi è incluso): la regola d’oro di ogni vera econo­mia civile non è la filantropia unilaterale, ma la reciprocità, anche produttiva. Se non saremo capaci di dar vita, qui ed ora, a queste istituzioni di economia civile, continueremo a lasciare i poveri e i disperati nelle mani dei cercatori di ori e sempre più spesso dell’illegalità, e non saremo all’altezza dei tanti nostri concittadini che in tempi di crisi non si lamentarono, ma diedero vita ad ope­re veramente innovative perché inclusive, quelle che oggi mancano all’Italia.
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