venerdì 16 luglio 2021
Caritas italiana: oggi solo il 44% delle famiglie in difficoltà riceve il contributo e il 36% dei beneficiari non è in povertà. Ecco come cambiarlo perché sia efficace
Reddito di cittadinanza: necessario, ma da riformare dalla parte dei poveri

Ansa

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In mezzo a scontri ideologici, battaglie politiche e una melassa di luoghi comuni ci sono loro: i poveri. Di cui (quasi) tutti parlano senza cognizione di causa, senza ascoltarli, ma pretendendo di sapere cosa sarebbe meglio per loro. E invece è proprio da questa prospettiva - quella dei poveri - che occorre guardare alla realtà per contrastare in maniera efficace la miseria, per tarare nel modo giusto le politiche di contrasto alla povertà a cominciare dal Reddito di cittadinanza.

È ciò che ha fatto la Caritas italiana con la sesta edizione del Rapporto sulla Lotta alla povertà “Imparare dall’esperienza, migliorare le risposte” che oggi alle 10.30 verrà presentato al ministro del Lavoro, Andrea Orlando, in un incontro visibile sulle pagine Facebook e Youtube dell’ente ecclesiastico.

Un “monitoraggio plurale del Reddito di cittadinanza” di 490 pagine, elaborato da operatori Caritas, studiosi di 5 università, di centri di ricerca e dell’Ocse, sotto la direzione scientifica di Cristiano Gori, sfruttando diverse fonti e soprattutto ascoltando le persone che in questi mesi di crisi si sono rivolte alle mense e ai centri di ascolto della Caritas.

E proprio dalla fotografia di questo “Paese reale”, scandagliata con metodo scientifico, emerge tutta la necessità del Reddito di cittadinanza che, con una spesa di 8 miliardi di euro, ha protetto un’ampia fascia di popolazione durante la crisi. Assieme però, all’urgenza di mettervi mano per riformarlo e renderlo più efficace.

A spiccare, infatti, è innanzitutto il dato che il Reddito di cittadinanza non raggiunge tutti i poveri, anzi. Solo il 44% dei nuclei bisognosi ne usufruisce e dunque oltre la metà delle famiglie ne rimane privo. Non solo, tra le famiglie che ricevono il Rdc il 36% non è povero. Si tratta dei cosiddetti “falsi positivi” che – al netto delle truffe esistenti per tutte le misure di welfare – sono in particolare singoli (41%) o coppie (21%) non considerate povere secondo le misurazioni statistiche, ma che rientrano nei parametri stabiliti per il Rdc. Il rapporto evidenzia invece come vengano escluse dai benefici, in particolare, le famiglie povere che risiedono al Nord, hanno figli minori, presentano un richiedente straniero o sono in possesso di qualche risparmio che supera la soglia consentita.

«Attualmente – spiega il rapporto – sono escluse dalla possibilità di richiedere il Rdc 4 famiglie straniere su 10 (a causa soprattutto della richiesta dei 10 anni di residenza, ndr). Il requisito economico che più di tutti restringe l’accesso alla misura alle famiglie in povertà assoluta è invece quello del patrimonio mobiliare (da 6mila a 10mila massimo, solo due terzi di queste lo soddisfa). E, a causa di una scala di equivalenza “piatta” che sfavorisce le famiglie numerose e con figli minori, il tasso di inclusione del Rdc è decrescente all’aumentare del numero di componenti all’interno del nucleo.

Infine, rispetto alla dimensione geografica, nel Nord il numero delle famiglie che fruiscono del Rdc è il 37% di quelle in povertà assoluta, nel Centro il 69% e nel Sud il 95%». Questo, aggiungiamo noi, perché la rilevazione sulla povertà assoluta tiene (correttamente) conto della differenza nel costo della vita per area geografica e per dimensione del comune di residenza, mentre le soglie e gli importi del Rdc sono indifferenziati.


Penalizzati dai criteri attuali sono i nuclei con figli minori, quelli residenti al Nord, gli stranieri e chi ha qualche risparmio. La novità dell’ascolto degli utenti dei servizi. I nodi dell’inclusione sociale e lavorativa


A rendere ancora più evidente come gli insiemi dei poveri assoluti e dei percettori di Rdc siano solo parzialmente sovrapposti è la preziosa indagine longitudinale e qualitativa sui beneficiari dei servizi Caritas. Appena il 55,2% tra loro ha usufruito del Reddito di cittadinanza tra il 2019 e il 2020, mentre esclusi sono state in particolare le coppie e le coppie con figli minori, per il 90% con età inferiore ai 50 anni. «I nostri dati – spiega la sociologa Nunzia de Capite – mostrano come siano poco intercettati dal Rdc in particolare i nuovi profili di povertà, ossia quelli dei nuclei caratterizzati da un’età giovane, dalla presenza di figli minori e da un tasso di occupazione non nullo ma con redditi limitati. Mentre sono meglio coperte le fasce più marginali senza occupazione e con redditi nulli». Il 51% delle famiglie beneficiare del Rdc, inoltre, è multivulnerabile, cioè presenta contemporaneamente tre o più profili di difficoltà (lavoro, salute, esclusione sociale, ecc.).

Il sussidio è vissuto da molti degli utenti «con vergogna», ma nella consapevolezza di «non essere in grado di acquisire una propria autonomia». In questo quadro è assai significativo che «nessun beneficiario del Rdc preso in carico dai Centri per l’impiego ha dichiarato di aver partecipato ad un ciclo di corsi di formazione –rileva il rapporto –. Al contrario, il 70% dei beneficiari dice di non aver ricevuto alcun tipo di formazione e questa quota è addirittura più marcata nelle famiglie maggiormente esposte a marginalizzazione (80% tra i nuclei con reddito familiare inferiore ai 300 euro, 86,1% con tasso lavorativo nullo e 87,5% con multi-vulnerabilità)». In sostanza non sono stati forniti aiuti concreti per uscire dalla condizione di marginalità.

E qui si apre il doppio capitolo della presa in carico: per l’inclusione sociale e per quella lavorativa. Secondo i dati al 31 gennaio 2021, il 5,1% dei percettori della misura non risultava tenuto agli obblighi, il 48,3% era stato indirizzato ai percorsi di inclusione sociale e il 46,6% ai percorsi di attivazione lavorativa con i Centri per l’impiego.

Per quanto riguarda i servizi sociali, si evidenzia un ritardo nella presa in carico, ma poi risultano avviati progetti in più dell’80% dei casi. Più problematica la situazione per i 530mila nuclei indirizzati ai percorsi di inclusione lavorativa. Il 21% dei soggetti che pure vengono considerati più “occupabili” non ha mai avuto un rapporto di lavoro dipendente (oltre il 50% tra gli under 30 e le donne) e il 72% dei beneficiari che devono stipulare il Patto per il lavoro ha solo la licenza media inferiore (appena il 3% è laureato).

Le persone tenute alla sottoscrizione del Patto per il lavoro sono complessivamente 1 milione, ma solo 327mila l’hanno poi stipulato effettivamente a causa principalmente della sospensione delle condizionalità per l’emergenza Covid. Interessante la notazione del rapporto in cui si spiega che «non raramente sono persone che non hanno acquisito neppure il titolo di studio obbligatorio per legge, o sono giovani che non studiano né lavorano. Sono tutti dotati di smartphone, ma non sanno usarlo per effettuare ricerche su internet, non sanno redigere un curriculum vitae e, in alcuni casi, non parlano la lingua italiana». Persone difficilmente collocabili immediatamente nel mercato del lavoro.


Don Soddu: proponiamo un’agenda ragionevole di cambiamento guardando la realtà con gli occhi di chi non ha mezzi


La Caritas italiana indica quindi «un’agenda per il riordino del Reddito di cittadinanza» a partire da quattro presupposti: «Il Rdc è importante nel fronteggiare la povertà; sono maturi i tempi per un riordino finalizzato a rafforzarlo; vi è un’ampia concordanza nella ricerca scientifica sulle principali aree di miglioramento; vi è la necessità di un insieme limitato d’interventi disegnati con precisione chirurgica», sottolinea Cristiano Gori. La prima azione suggerita per intercettare meglio la povertà prevede di ampliare i criteri di accesso per gli stranieri (diminuendo gli anni di residenza richiesti), innalzare le soglie del patrimonio mobiliare in generale e quelle economiche del Nord, adottare una scala di equivalenza non discriminatoria per le famiglie numerose. Contemporaneamente, restringere i criteri di accesso per le famiglie monocomponenti e per le coppie, oggi troppo “generosi”. Quanto a inclusione sociale e lavorativa, la priorità è promuovere il coordinamento tra i soggetti della rete, rafforzare le assunzioni di assistenti sociali e riorientare i percorsi per il lavoro permettendo il cumulo tra Rdc e reddito da lavoro come “in-work benefit" e affrontare il nodo della condizionalità, formalmente assai severa e in realtà scarsamente applicata. Ancora, riconoscere meglio coloro che sono temporaneamente non occupabili, per i quali individuare nuove risposte specifiche.

Un’agenda di cambiamenti ragionevoli per «una misura come il Reddito di cittadinanza che va assolutamente mantenuta, ma anche riordinata – commenta don Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana –. Guardando la realtà con gli occhi dei poveri, per occuparci sapientemente di loro». Né referendum abrogativi, né slogan politici, né battaglie ideologiche insomma, ma la realtà esaminata scientificamente a partire dalla prospettiva dei poveri. Perché, del contrasto alla miseria, i poveri siano i protagonisti non solo passivi.

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