sabato 29 maggio 2010
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Di rado conquistano le prime pagine dei giornali o le aperture dei telegiornali e sono di fatto sconosciuti al grande pubblico occidentale. Eppure, i terroristi maoisti – questo giornale ha appena pubblicato un’inchiesta su di loro – rappresentano il primo problema di sicurezza dell’India. Secondo alcune stime, negli ultimi quattro anni hanno ucciso un numero di soldati e di forze di sicurezza indiane quasi eguale ai soldati della Nato caduti in Afghanistan. Calcolando i civili, sono migliaia le vittime di questa violenza feroce e sempre più aggressiva.Ieri, quasi un centinaio di vittime: passeggeri inermi di un treno fra Mumbai e Calcutta, fatto deragliare – secondo gli inquirenti – dall’azione di gruppi maoisti. La loro smentita lascia scettici gli analisti, dato che proprio i mezzi di comunicazione, come treni e bus, sono uno dei bersagli privilegiati della loro violenza "rivoluzionaria". È, dunque, quasi certo che le decine di corpi dilaniate dalle lamiere dei vagoni e le centinaia di feriti rimasti intrappolati per quasi tutto il giorno siano da mettere in conto a questa follia terroristica. E resta comunque la realtà di una crescita degli attacchi, cui il governo di New Delhi fatica a rispondere.I maoisti – o naxaliti, come vengono spesso chiamati – sembrano sbucati da un passato intriso di ideologie ormai tramontate. Il loro richiamarsi agli ideali del condottiero del comunismo cinese, l’ossessione per la lotta di classe nelle campagne sembra stridere con il rapido progresso economico del gigante indiano. Al contrario, sono per molti osservatori un effetto dell’aumento dei contrasti e delle tensioni economiche. Non a caso, i loro santuari si trovano negli Stati del Jharkhand, il Bihar, l’Orissa e il Bengala – l’India orientale –, nascosti nelle aree forestali e nelle zone rurali ove si concentrano popolazioni tribali fra le più povere e sfruttate.Si tratta di un movimento di guerriglia sviluppatosi negli anni 60 e apparentemente sconfitto nel decennio successivo. In questa decade, invece, vi è stato il suo ritorno, con un’ideologia che ha fatto della violenza e delle stragi la sua matrice più evidente. Spesso sotto i loro attacchi sono caduti attivisti politici della sinistra politica, o addirittura attivisti comunisti rei di non condividere la brutalità della rivolta maoista. Il loro obiettivo è quello di "liberare" aree nelle quali operare con impunità (il "corridoio rosso", lo chiamano in India), ricorrendo alla guerriglia e facendo leva sulle tensioni economiche e sul risentimento delle popolazioni locali. Dicono di lottare contro lo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali e minerarie, di cui beneficiano multinazionali indiane e straniere, autorità locali e provinciali, ma che non portano eguale benessere agli strati sociali più bassi. Anzi, sono questi ultimi a pagare il prezzo più alto di una crescita sbilanciata.Rispetto al terrorismo jihadista che pure insanguina l’Unione indiana, i maoisti non solo sembrano in grado di colpire più duramente le forze di sicurezza nazionali, ma paiono beneficiare di maggior consenso, proprio perché la loro piattaforma politica non è settaria, ma sfrutta le diseguaglianze economiche e sociali. È proprio per queste considerazioni che la risposta governativa sta cercando di essere non solo militare e repressiva. Si è infatti cercato di accompagnarla con programmi di sviluppo e con la creazione di zone economiche speciali nelle regioni teatro delle azioni terroristiche. Nonostante l’insoddisfazione di molti fra i responsabili delle forze di sicurezza impegnate nella lotta – alcuni dei quali si sono spinti a richiedere l’uso dell’arma aerea contro i santuari maoisti –, a New Delhi si continua a credere che la pura repressione potrebbe portare a una degenerazione del confronto, provocando una spirale di violenze, con gli inermi abitanti di questa parte d’India a pagare il prezzo maggiore. Una scelta di cautela che i continui attentati di questi mesi potrebbero indebolire.
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