Sanità al Sud: per tutti gli stessi diritti
mercoledì 12 aprile 2017

È ufficiale. Gli italiani del Sud sono destinati a vivere tre anni in meno rispetto ai fratelli del Nord. Lo dice il rapporto “Osservasalute” 2016, non qualche “allarmista” che parla “ di pancia” come spesso abbiamo dovuto sentire. Gli organi istituzionali chiedono – giustamente e ripetutamente – ai cittadini di collaborare, di fare la propria parte. Ma, non di rado, accade che quando i cittadini scendono in campo, si assumono le proprie responsabilità, denunciano, raccontano fatti, c’è sempre qualcuno pronto a tacciarli di allarmismo, ribadendo che i dati da loro forniti non sono scientifici. Ancora una volta, dunque, ci troviamo di fronte un Paese diviso in due. Ma, oltre a produrli, i dati occorre anche leggerli bene. Cinque anni fa gli abitanti delle province di Napoli e Caserta, alzarono la loro voce per farla arrivare a chi di competenza. Scesero per le strade con i loro vescovi, i loro parroci, le decine di associazioni già attive sul territorio, per denunciare lo scempio ambientale che si consumava sotto i loro occhi. Avvenire amplificò e sostenne le loro proteste e il loro dolore.

La striscia di terra a cavallo delle due province, da qualche anno, era conosciuta come “terra dei fuochi” per la presenza degli innumerevoli roghi tossici che bruciavano nelle campagne sotto gli occhi di tutti e senza che qualcuno se ne facesse carico. Fumo nero dappertutto. Un’oppressione indicibile. Non solo. Dalle zone industriali, da alcune aziende – evidentemente senza controllo da parte delle autorità competenti – fuoriusciva un fetore che toglieva la serenità, il respiro, la salute. La gente era stanca e scoraggiata. I parroci – senza alcuna pretesa scientifica – andavano constatando che i morti per cancro e leucemie aumentavano sempre di più, mentre l’ età dei defunti e degli ammalati si abbassava. Si ammalavano e morivano bambini, adolescenti, giovani genitori. Era normale? Non stava ai parroci dare risposte. Unicuique suum. Ognuno deve fare il suo dovere. Nel migliore dei modi. Ai cittadini, alle associazioni, alla Chiesa campana incombeva l’obbligo di denunciare lo scempio che si verifica su un territorio con due, tre milioni di abitanti. Un territorio a vocazione prevalentemente agricola. Non ci voleva molto per capire che qualcosa non andava. Le proteste portarono a una collaborazione con le istituzioni preposte non sempre facile ma proficua. I vescovi campani pubblicarono due documenti molto forti. Uno di essi iniziava con un preoccupatissimo “fate presto” rivolto ai chi ci governa. Fate presto perché la gente soffre, fate presto perché i funerali con la bare bianche aumentano sempre di più. Non avendo dati scientifici a disposizione, e non essendo scienziati, i cittadini usavano i mezzi che potevano. I genitori dei bambini morti di cancro e di leucemia si organizzarono in associazioni e raccontavano il calvario sopportato.

Le piccole vittime non erano più numeri e percentuali asettici, ma bambini belli con un nome, un volto, una storia. Non tutti, naturalmente, erano disposti ad ammettere che nelle terra dei fuochi lo scempio ambientale dovuto anche e soprattutto ai rifiuti industriali provenienti dal centro e dal nord Italia avesse conseguenze sulla salute. Spettava alla politica risolvere il problema. E qui, puntualmente, i poteri nazionali, regionali, comunali, entravano in conflitto fra loro. Coloro che si erano susseguiti nel tempo volentieri si accusavano a vicenda. Il solito scaricabarile. I nostri piccoli, accompagnati dai genitori, spesso, prendevano la strada verso gli ospedali del nord, dove, lontani dalla casa e dagli amici, tanti si sono spenti. I tre anni cui gli italiani del Sud sono costretti a rinunciare, aumentano a dismisura per gli abitanti della terra dei fuochi e altre zone fortemente inquinate.

Trovo molto strano che tra le motivazioni cui accenna l’Istituto superiore di sanità, non si faccia cenno al danno ambientale causato anche dagli scarti industriali, smaltiti in modo delinquenziale nelle campagne, nei fiumi, nei mari. Oltre al danno non poteva mancare la solita beffa. In un Paese che invecchia inesorabilmente, la Campania risulta essere tra le regioni più giovani. Ebbene, proprio per questo motivo riceve dallo stato meno risorse per la sanità, che vuol dire: meno prevenzione, meno diagnosi precoci, meno possibilità di cura. La scienza ha parlato. Adesso la politica si dia da fare seriamente per eliminare questa insopportabile discrepanza e permettere a tutti di usufruire degli stessi diritti.

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