domenica 21 aprile 2013
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«Chiesa baby sitter», «Dio spray». Sono le ultime note espressioni usate da papa Francesco nella messa quotidiana mattutina a Santa Marta e che in rete hanno ormai raggiunto una diffusione virale. Sono formule di un linguaggio icastico, plastico, che in due battute riesce a condensare efficacemente temi di ampia trattazione e che bastano da sole a farci riflettere ancora sul magistero di papa Francesco. Il binomio «Dio spray» in termini letterari si chiama pastiche, che è appunto l’accostamento di parole di diverso livello o di diverso registro con effetti espressionistici. E lo stile pastiche è oggi un tratto tipico della comunicazione del web e del linguaggio postmoderno. Si tratta dunque di associazioni linguistiche inedite nella storia del magistero petrino. Dopo aver ascoltato una delle ultime omelie nella messa a Santa Marta, mentre offriva una tazzina di caffè ai suoi ospiti, glielo ho chiesto: «Padre, ma come le vengono queste espressioni?». Un semplice sorriso è stata la risposta. «Gesù Cristo non ha mai usato argomentazioni, usava lo stile, usava certe metafore. Usava frasi che facevano colpo. Non diceva: 'Son sono venuto a portare la pace ma la guerra', bensì: 'Non sono venuto a portare la pace ma la spada'. Cristo pensava per parabole». Sono parole dello scrittore argentino Luis Borges, conosciuto da Bergoglio e da lui ricordato, il quale così proseguiva: «Un uomo, se è un cristiano, non dovrebbe essere solo intelligente, dovrebbe essere anche un artista, perché Cristo ha insegnato l’arte attraverso il suo modo di predicare, perché ognuna delle frasi di Cristo, se non ogni singola parola, ha valore letterario e la si può prendere come metafora o come parabola». L’arte di cui parla Borges altro non è che la 'sapienza del porgere', la pronuntiatio ricercata dai Padri della Chiesa che consideravano arte l’omelia, arte di conversare semplicemente con gli uomini. Le coordinate portanti dello stile di papa Francesco si fondano pertanto sul primato della parola nel suo statuto comunicativo e relazionale, sul primato della colloquialità, dell’accessibilità, della chiarezza e della bellezza, attraverso la parola che subito apre, illumina. Sono le condizioni stesse che consentono di andare incontro agli uomini. È questo il sermo humilis, che vuol dire parlare a tutti, cioè universalità e allo stesso tempo contemporaneità, immersione nel divenire del mondo, e rappresenta il modulo espressivo più consono a una Chiesa che vuole essere amica degli uomini del suo tempo. Come ci aveva mostrato con il suo impareggiabile magistero, suadente e suasivo, papa Luciani e come insegna sant’Agostino, maestro per eccellenza del sermo humilis. Nel De predestinatione sanctorum sant’Agostino condensa il significato del sermo humilis in due termini: utile e adatto. In sostanza dice che essendo la verità cristiana «amorosa e soave salvezza» deve essere posta suaviter, con delicatezza, sia per rispetto della sua stessa natura sia tanto più per il rispetto delle possibilità di ricezione dell’uditore affinché questi la possa accogliere. Sono queste le ragioni ultime di un linguaggio che abbraccia ed è comprensivo del mondo e degli uomini, che è con essi dialogante e da essi comprensibile; comprensivo e comprensibile, perché sermo humilis è anche caritas e lieta novella nell’accezione agostiniana. E dunque questo è il primo insegnamento che ci viene dal sermo di papa Francesco: che è esso stesso un atto d’amore, un atto d’amore verso Dio e verso gli uomini.
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