mercoledì 20 gennaio 2010
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È doloroso e per certi versi inquietante apprendere in queste ore, attraverso i mezzi d’informazione, che nel nostro tempo vi siano ancora situazioni di aperta conflittualità tra musulmani e cristiani. Uno scandalo a 'cielo aperto' che tormenta per l’ennesima volta il gigante nigeriano, quasi una spada di Damocle che pesa foriera di sventure sul destino della più popolosa nazione africana. Stiamo parlando, è bene rammentarlo, di un Paese che galleggia sul petrolio, nel quale l’1% della popolazione detiene oltre due terzi della ricchezza nazionale e le disparità sociali rappresentano il terreno fertile del fanatismo religioso. Le stragi perpetrate nella città di Jos, già teatro in passato di simili vicende, rappresentano un dato inquietante sul quale occorre riflettere con imparziale lucidità per evitare fraintendimenti, cercando soprattutto di smascherare l’inganno che si cela dietro la tragica cronaca battuta dalle agenzie d’informazione. Perché è chiaro che qualcuno ha innescato la scintilla, pare costruendo una moschea in un quartiere popoloso di Jos a maggioranza cristiana. Una provocazione che ha generato reazioni violente e poi scontri all’arma bianca. Ma quanto è successo in questi giorni, stando agli analisti, è imputabile a certi poteri, più o meno occulti, tendenzialmente avvezzi al denaro i quali, utilizzando la riottosità di questa o quella frangia, hanno come scopo di destabilizzare l’autorità statuale e più in generale il governo centrale di Abuja. Sarebbe pertanto riduttivo scagliarsi solo contro certi predicatori fautori della Sharia, la legge islamica, o sui leader delle sette pseudo evangeliche che pullulano in Nigeria. Come già denunciato in più circostanze dall’episcopato cattolico - ad esempio in occasione degli scontri avvenuti nel novembre del 2008 nella capitale dello stato del Plateau - vi sono responsabilità condivise da parte di coloro che avrebbero dovuto fare ogni sforzo per scongiurare simili mattanze. Il riferimento è indirizzato ad esponenti delle classi dirigenti, delle forze dell’ordine e dei servizi di sicurezza, che, pur sapendo, hanno fatto poco o niente per impedire inutili spargimenti di sangue. Emblematico è il caso dell’applicazione della legge islamica, entrata in vigore da anni negli stati settentrionali del Paese, un’imperdonabile debolezza dell’allora presidente Olusegun Obasanjo che non tutelò sufficientemente la laicità del dettato costituzionale federale di un Paese che comunque non è mai stato una Repubblica islamica. Di converso la sporulazione di sette cristiane fondamentaliste, soprattutto nelle baraccopoli come anche nelle zone rurali, è anch’essa sintomatica di strumentalizzazioni di parte che vedono coinvolti personaggi legati alla politica o addirittura alla malavita organizzata. L’avvento di una piattaforma democratica nel 1999, dopo anni di regime militare, ha migliorato indubbiamente la reputazione internazionale della Nigeria e ha dato il via alle riforme economiche e sociali che comunque non pare trovino riscontro in fase attuativa. A questo proposito la lotta contro la piaga della corruzione non pare abbia sortito alcun effetto. Tornando dunque agli scontri tra musulmani e cristiani di questi giorni, sarebbe un errore estendere le responsabilità di quanto accaduto solo alle due comunità religiose, trattandosi di un fenomeno che tocca frange violente giovanili, dei ceti meno abbienti, disperati e quindi manipolabili. Quella di Jos è insomma una spietata guerra tra poveri.
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