giovedì 23 luglio 2015
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Caro direttore, davvero fa notizia la morte a 16 anni per una droga 'leggera'? Quanto siamo ipocriti… Quanto è ipocrita l’assurda pretesa di legalizzare un simile veleno... Impazza quest’estate una canzone che dal titolo all’ultima nota inneggia alla marijuana. Non so se le è capitato di sentirla. È diventata un vero tormentone. Ha milioni di visualizzazioni in internet. E nessuno dice niente. Fra l’altro, hanno avuto la furbizia di farla davvero bella.  Bella al punto che se la senti ti ritrovi a cantarla mentre rifai i letti il giorno dopo. Ma in questo mondo a rovescio pare vada bene così. A tal proposito, mia figlia Anna mi ha detto: «1) Sono in difficoltà perché la canzone è fantastica e quindi ogni tanto la ascolto. Ma mi vieto di scaricarla perché non posso essere così incoerente da scaricare un testo così. 2) Ci sono cantanti e politici che ci urlano: 'Legalizzala!' (la cannabis). Ma quando sono stata a San Patrignano quei ragazzi, che ci sono passati, sono stati chiari: basta, la droga no. E mi tornano sempre in mente». Allora io dico, direttore, in che società vivono questi ragazzi se a 16 anni li provochiamo così al ritmo di note suadenti? Roberta VenderDove viviamo noi e i nostri figli? In una società nella quale per tanti la libertà non si specchia più nella responsabilità, cara signora Vender. Una brutta dissociazione che purtroppo si approfondisce, anche se, grazie a Dio, sono ancora molti di più quelli che sono invece persuasi e, tra umanissimi alti e bassi, si dimostrano capaci di trovare e dire senza retorica, coi propri gesti quotidiani, quella "rima" vitale: libertà/responsabilità. Ma i liberi e responsabili rarissimamente (giornali come questo, a parte) fanno notizia, e canzoni di successo. Canzoni come quella ambigua che lei evoca e che sono frutto non solo della creatività (e della malizia) di singoli autori, ma di un intero sistema che concepisce determinate "onde" comunicative e non si limita a cavalcarle, ma le scatena e le alimenta. La droga in tutte le sue forme, pesanti o cosiddette leggere, è però uno tsunami. E chi si illude di governarlo ne viene travolto. Resta il fatto che la colonna sonora di un fenomeno di sfruttamento e di schiavizzazione che si traveste da libera scelta è confezionata, come lei dice, in modo molto coinvolgente. È suadente, accattivante, e talmente efficace che magari ci si ritrova a ripetere e a interiorizzare, canticchiandole, parole d’ordine che non si pensano e non si condividono. Eppure circolano e si radicano. E questo fa crescere una realtà di dipendenze, di violenze e di affari che mortifica la libertà e persino la cancella. Cambiare canzone, cambiare canzoni è perciò un’arma di resistenza umana. Ovviamente chi scrive testi, chi produce canzoni, chi le commercializza, chi le impone all’ascolto e ci guadagna su porta un peso speciale. Ma una parte importante e, infine, decisiva tocca a noi, cioè a chi scarica, compra, ascolta: niente, infatti, è più insopportabile dell’insuccesso per i protagonisti del mondo dello spettacolo. Ricordiamocelo.
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