Quella diga saltata
mercoledì 7 giugno 2023

La diga è saltata nella notte. Un boato e, impetuoso, lo scrosciare dell’acqua del fiume Dnipro. Che dal bacino di raccolta della centrale elettrica esce, inarrestabile, e si riversa a valle, sommergendo il verde di giugno di fango. La diga è quella di Nova Kakhovka, Ucraina meridionale, in una zona controllata dai russi. Un colosso costruito quando laggiù era Urss, un muro di cemento armato alto trenta metri e lungo centinaia. Sul web si moltiplicano immagini del disastro: visto dai droni, visto da terra. In alcuni video si sentono pianti di donna, lamenti, si vedono cancelli di case sommersi. La regione a valle è molto ampia: a sera secondo Kiev i civili da evacuare sono 40mila, di cui25 mila nella zona occupata dai russi. Non sarà semplice, in un territorio spezzato dal fronte, mettere in salvo 40mila persone – come una città.

Da Mosca accusano Kiev di sabotaggio, da Kiev replicano che a fare saltare la diga sono stati loro, e precisamente il Corpo d’armata russo che presidiava la centrale. Lo scopo potrebbe essere anche quello di rallentare una controffensiva ucraina, perché i carri armati si impantanano, nel fango. L’arcivescovo maggiore di Kiev, Sviatoslav Shevchuk, denuncia l’«aggressione genocida contro l’Ucraina». Con l’esplosione della diga di Kakhovka, afferma, migliaia di persone si trovano in pericolo di vita. Alle cinque di sera compare sul web un’immagine della cittadina di Nova Kakhovka sommersa. Nell’acqua color piombo nuotano due cigni candidi. Nessuna immagine, invece, di sfollati. Forse perché i villaggi sono allagati e la corrente manca, e i cellulari sono scarichi.

Il silenzio, oggi come una volta, è un segno indicativo delle proporzioni di una sciagura. Non è il Vajont, dove il pezzo di Monte Toc precipitato nell’invaso della diga provocò un’onda che in pochi minuti cancellò il paese di Longarone. A Nova Kakhovka il flusso sembra allargarsi in un territorio quasi pianeggiante. La popolazione può avere il tempo di mettersi in salvo. Sulla riva ucraina del Dnipro la gente è stata avvisata: prendete i documenti, gli animali domestici e andate. Possiamo solo immaginare queste fughe con i bambini in braccio e i vecchi che zoppicano, e non tengono il passo. Ci tornano in mente le immagini della disastrosa alluvione in Romagna. Ma a Nova Kakhovka non è stato il cielo, è stata la guerra. Ora la guerra si fa con l’acqua: allagando i villaggi, provocando blackout, mettendo in fuga i civili.

C’è una particolare spietatezza in questa operazione. Quella diga sul Dnipro era stata fatta nel 1950 per dare energia a un’intera regione, e per regolamentare l’irrigazione dei campi. Era un’opera pensata per regolamentare la poderosa forza di un fiume, e rendere la regione più vivibile. Dice ancora l’arcivescovo maggiore di Kiev che questa distruzione è «un peccato contro Dio Creatore, che ha chiamato l’uomo a sviluppare, e non a distruggere il mondo che Egli ha creato». Un’alleanza fra l’uomo e la forza distruttiva che la natura può avere, un’alleanza perversa. Qualsiasi cosa, pur di vincere. Ma quel territorio, non lontano da Kherson, fa appunto parte della regione che Mosca rivendica come russa. E 25mila dei 40mila da evacuare, per Mosca, sono russi. Dunque, un attentato contro la propria gente, o almeno quella che si pretende essere propria. Una notizia d’agenzia alle 14 dice che un primo treno per sgomberare la popolazione è in arrivo. Chissà fin dove riesce ad arrivare un treno, se i binari vanno sott’acqua. Chissà come si fa ad arrivare, a quel treno, con i figli che non camminano ancora, con i nonni che non camminano più.

Attendiamo con ansia qualche immagine di questa evacuazione: vorrà dire almeno che dei soccorsi, dei treni, dei generatori elettrici cono arrivati. Sempre più cattiva questa guerra, di una cattiveria senza argini, che proprio nelle stesse ore e a latitudini diverse si sta cercando di costruire. Lontana, sì, abbastanza perché cerchiamo di non pensarci. Vicina, però, abbastanza perché quella violenza sugli inermi ci sgomenti. In Ucraina, in Europa, bombardamenti, fosse comuni, bambini rubati. E ora la terra aggredita e disfatta, in una furia cieca contro le case, i campi degli uomini: ucraini? russi? Che importa. C’è un’eco del nichilismo del Necaev di Dostoevskij in questa operazione: « Non lasciare pietra su pietra», diceva il personaggio de I Demoni. Una volontà di potere ad ogni costo, come un’ombra che si allarga. E ci riguarda, se siamo uomini drammaticamente ci riguarda.

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