sabato 22 ottobre 2011
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Caro direttore,
apprezzo molto l’attenzione con cui Avvenire sta seguendo il dibattito e le iniziative legate alla presenza politica dei cattolici. La questione mi coinvolge personalmente dal momento che sono impegnato in politica da molti anni: ho iniziato nel Consiglio comunale della mia città (Lecco) diventando prima assessore e poi sindaco e oggi sono assessore in Regione Lombardia. La mia avventura politica ha preso avvio giusto un anno dopo l’inizio dello straordinario pontificato del beato Giovanni Paolo II con la sua grande sfida lanciata a tutti gli uomini – «Non abbiate paura, aprite, anzi spalancate le porte a Cristo» – e con il pieno recupero della Dottrina sociale della Chiesa, offerta come fondamentale strumento ai cristiani impegnati. Trovo nei richiami di Benedetto XVI una profonda continuità con quelle indicazioni e anche il richiamo a una «nuova generazione di cattolici impegnati» non mi spaventa (tanto più che ho imparato dal Vangelo che è necessario sempre per tutti nascere di nuovo…).
 
Quello che non mi piace è il clima nel quale è maturato il convegno di Todi e soprattutto come si è cercato di strumentalizzarlo mediaticamente, con interpretazioni rovesciate persino dell’intervento iniziale del cardinal Bagnasco. Mi spiego. Non mi nascondo le difficoltà del momento, soprattutto se lette dal punto di vista dei cattolici impegnati nella società, ma mi permetto anche di rimarcare che non c’è bisogno di tornare ai tempi della Dc (alla quale peraltro ho appartenuto anche io) per trovare segni importanti di una politica cristianamente ispirata. Sono nel Consiglio regionale della Lombardia dal 2000, Roberto Formigoni ne è il presidente della giunta dal 1995 e in questi anni le politiche regionali – in mezzo come sempre anche a difficoltà e resistenze – hanno cercato di realizzare in scelte concrete quella cultura nella quale molti di noi sono stati educati, cattolica e capace di confrontarsi con ogni altra visione del mondo.
 
È una scelta politica concreta il fondo "Nasko" grazie al quale si apprestano a nascere oltre 1.500 bambini che avrebbero potuto essere abortiti dalle loro mamme per motivazioni economiche; lo è il buono scuola con cui da undici anni abbiamo cercato, praticamente unici in Italia in questa forma, di dare concretezza alla parità scolastica affermata dalla legge ma, come ben sappiamo, non riconosciuta nel suo valore economico. E sono scelte concrete i tentativi, più o meno riusciti, di affermare il principio di sussidiarietà come criterio delle diverse politiche regionali, a partire da quelle sanitarie e sociali e della formazione. Non dico queste cose per accampare meriti; ma semplicemente per ricordare che ogni riflessione, soprattutto tra cattolici, che non parta dal riconoscimento dell’esperienza in atto rischia di scivolare subito in una nuova ideologia di cui non si sente affatto la necessità. Sono tanti i cattolici, anche in questa Seconda Repubblica, che in diverse vesti hanno cercato nei Comuni come nelle diverse istituzioni di operare secondo l’insegnamento della Chiesa. Molte volte cadendo, molte volte sbagliando, ma tuttavia sempre tesi a un ideale che mai hanno abiurato. Non si può far tabula rasa di tutto questo. Perché non partiamo, allora, tra cattolici, anche da una seria riflessione sulle esperienze in atto per imparare a guardare con speranza al futuro, ma anche già al nostro presente che di speranza vera ha così tanto bisogno?
Giulio Boscagli
Assessore alla Famiglia, Conciliazione, Integrazione e Solidarietà Sociale della Lombardia
A mio parere, caro assessore Boscagli, la sua riflessione è assai utile e si inserisce in modo naturale nel «processo» in atto nella realtà del laicato cattolico. Un processo che ha preso slancio nel seminario di Todi promosso dal Forum delle persone e delle associazioni d’ispirazione cattolica nel mondo del lavoro con il coinvolgimento, inedito per modalità e ampiezza, di quasi tutta la realtà associativa del laicato cattolico italiano. Ho partecipato – da invitato – a quella giornata, e ho seguito con attenzione il ricco e articolato svolgersi del dibattito sulla possibile nuova «interlocuzione» forte con la politica. Credo che i fraintendimenti e le semplificazioni mediatiche di cui lei parla – e che anch’io ho rilevato nei giorni scorsi – siano state certamente il frutto di qualche malizia, ma anche il puro e semplice risultato della scelta di... discrezione, che ha portato a lavorare a "porte chiuse". La mia è una valutazione da giornalista (uno che, per definizione, ama ogni volta che è possibile veder prevalere la logica delle "porte aperte"), fatta non solo a posteriori, ma offerta a priori come suggerimento – questo solo potevo e mi sono permesso di fare – agli organizzatori. Il seminario propriamente detto si è sviluppato a partire dallo splendido e solidissimo richiamo iniziale del cardinal Angelo Bagnasco, presidente della Cei, al dovere del radicamento valoriale e del non assenteismo sociale (e, almeno questo, tutti coloro che hanno voluto hanno potuto leggerlo integralmente anche grazie alla pubblicazione su Avvenire). Quindi Todi ha proposto – dopo la rigorosa lettura della realtà italiana condotta da un politologo del calibro di Lorenzo Ornaghi, rettore dell’Università Cattolica – quattro dense relazioni base e ben 62 interventi. Eppure ha finito per essere "veicolata" solo una delle battute della conferenza stampa dei sette leader del Forum promotore dell’incontro. E cioè il giudizio severo – e peraltro, come tutti sanno, niente affatto inedito da parte di organizzazioni del lavoro e dell’impresa – sulla capacità del governo e dell’attuale maggioranza di fronteggiare la situazione economica e l’auspicio di un esecutivo e di un’azione anti-crisi più forte. Se a Todi si fosse parlato di questo e solo di questo sarebbe stato «deludente», come qualcuno ha ipotizzato. Sarebbe stato deludente perché invece della «buona politica» che già c’è e non era stata invitata per evitare strumentalizzazioni (anche se più di qualcuno avrebbe voluto che ci fosse lo stesso), sarebbe stata fatta entrare nel seminario solo una parte della «polemica politica» che sovrabbonda. Ma così non è stato.Credo – spero – che Avvenire sia riuscito (anche con ciò che in prima pagina ho scritto da testimone diretto) a dare comunque il senso di ciò che è davvero accaduto in quell’importante incontro nato con l’ambizione di essere una tappa significativa nella corale risposta ai ripetuti inviti del Papa a un «nuovo impegno» politico dei cattolici. L’ho definito, a caldo, una «mano tesa» e una «proposta onesta» a tutte le forze vive del nostro Paese e al mondo politico. So che è così. Ma soprattutto so che il complesso lavoro comune tra i rappresentanti dei "mondi" del cattolicesimo impegnato italiano è una cosa seria e promettente. E so che quel lavoro non può neppure lontanamente essere concepito come una polemica con chi – da credente – è già impegnato in politica e nelle istituzioni con magari faticosa ma schietta coerenza tra valori professati e azione svolta. Per quel che vale, caro Boscagli, io penso che se per i cattolici verrà davvero il tempo di un «nuovo impegno» anche politico, non sarà per nostalgie, calcoli, piccole contingenze o, peggio, per vanagloria e ingratitudine. Sarà perché questo laico «servizio» è storicamente e cristianamente sensato.
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