mercoledì 10 dicembre 2008
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Le proteste che hanno coinvolto Atene ed altre città della Grecia, sia nel continente che nelle isole maggiori, hanno modalità di un pericoloso déjà vu europeo. Il paragone con quanto avvenne nelle periferie di Parigi e nei suburbi delle città francesi nel 2005, appare addirittura scontato anche per la somiglianza della scintilla che le ha provocate, e cioè la diretta responsabilità della polizia nella uccisione (in Grecia) di un quindicenne (mentre a Parigi si trattò di due giovani morti folgorati mentre erano inseguiti dai gendarmi). C’è, dunque, almeno come forza aggregativa iniziale, la non accettabilità della morte conseguente ad azioni di polizia probabilmente eccessive e sicuramente sbagliate. Un rifiuto, però, che agisce come detonatore di un malessere sociale che dietro l’apparenza tranquilla dell’ordinarietà quotidiana, continua a covare pronto ad esplodere alla prima occasione.Ed è qui, con ogni probabilità, che il paragone con i fatti francesi è più pertinente. Queste proteste che dilagano a sciame in quel continuum urbano che è la nota caratteristica delle società moderne, danno, infatti, l’idea di raccogliere nelle loro manifestazioni di rivolta, tutte le contraddizioni della società. Tanto che i partiti che le cavalcano, non riescono poi a trarne i vantaggi sperati, come la sconfitta dei socialisti francesi ha ben dimostrato. Ed anche questo è un segnale importante, che va interpretato. Esso, infatti, sottolinea la sfiducia generalizzata dei giovani nei confronti della politica. Questa non è più vista (e purtroppo non è) come il luogo della partecipazione ad un progetto di società. E i partiti che della politica dovrebbero essere i protagonisti, hanno per ciò perduto gran parte della propria forza d’attrazione e, dunque, del loro ruolo sociale.La crisi globale che attraversa con particolare virulenza le società più avanzate, come sono da considerarsi quelle dei Paesi che aderiscono all’Unione Europea, produce effetti in tutte le nervature sociali. Essa si presenta soprattutto come una profonda delusione creata dalle difficoltà per l’affermazione sociale, che nei giovani, evidentemente, innesca reazioni più clamorose, sconfinando anche in comportamenti pericolosi ed illogici. Quelle che si sono viste in Grecia, non diversamente da quelle francesi di alcuni anni fa, infatti, sono proteste sostanzialmente sganciate da una progettualità politica che non sia quella di opposizione ai poteri costituiti. E quelle fiamme che avvolgevano i negozi, i cassonetti, le auto e il grande albero di Natale nella piazza principale di Atene, e che la televisione ci ha mostrato, assumono ¿ come avvenne nelle banlieue ¿ un forte valore simbolico. Ed è proprio su questo che gli ambienti più responsabili della politica e dell’economia, dovrebbero concentrare la propria attenzione. I fuochi che di tanto in tanto accendono le società degli Stati europei, al di là delle occasioni che li originano, danno figura drammatica ad un sentimento diffuso se non di disperazione, almeno si, di caduta della speranza. Una condizione ancora più grave per chi, e non sono pochi, aveva scommesso tutto sul risultato economico. Ma, viene da domandarsi, se sia stato sempre così, oppure se in una società che ha smarrito la dimensione del divino, questo sentimento di delusione non possa che avere come esito finale, null’altro che il fuoco della disperazione?
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