mercoledì 26 gennaio 2011
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La Corte di Cassazione prosegue, lentamente ma si direbbe con sistematicità, a svuotare di contenuto la disposizione di cui all’articolo 8 del Concordato, nella parte in cui prevede la delibazione in Italia delle sentenze di nullità matrimoniale pronunciate dai tribunali ecclesiastici. È quanto emerge dalla sentenza della Suprema Corte che, giovedì scorso, avrebbe introdotto un nuovo ostacolo alla delibazione, quando cioè la sentenza ecclesiastica si riferisca a un matrimonio contratto da molti anni.Non entro negli aspetti tecnici della questione, che pure meritano attenzione. Mi limito ad un paio di osservazioni di carattere generale. La prima attiene al fatto che le diversità tra la disciplina del matrimonio canonico e quella del matrimonio civile sussistono, nonostante il fatto che questo sia storicamente nato da quello. Anzi, più avanza la secolarizzazione, più i due modelli si allontanano e le due discipline si differenziano. Ma a ben vedere è proprio a causa della diversità di discipline che trova la sua ragione d’essere la norma concordataria che prevede la possibilità di delibare, sia pure a certe condizioni, la decisione ecclesiastica. Se la disciplina fosse assolutamente eguale, il problema non si porrebbe e le sentenze ecclesiastiche potrebbero trovare ingresso nel nostro ordinamento pressocché automaticamente, come avviene generalmente per sentenze provenienti da ordinamenti di altri Stati, grazie alle disposizioni di diritto internazionale privato.Se questo è vero, la conseguenza dovrebbe essere quella del favor alla delibazione e non quella, opposta, che a mio avviso erroneamente la Cassazione – e seppure con discontinuità – manifesta da anni, sull’idea che possano trovare ingresso in Italia solo le sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio che non si allontanino dal paradigma civilistico di matrimonio.La seconda riguarda il fatto che, sotto la travagliata vita delle disposizioni concordatarie sulla giurisdizione ecclesiastica in materia matrimoniale, c’è un problema irrisolto. Il problema è quello dell’assenza di un’adeguata regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra ex coniugi, che tenga conto sia del fatto che se il negozio matrimonio è nullo, logica giuridica vuole che da esso non discendano obbligazioni di carattere (anche) patrimoniale; sia peraltro del fatto che, dal punto di vista sociale, ci sono casi nei quali il principio di solidarietà consiglierebbe o inviterebbe a prevedere interventi adeguati a favore della parte più debole. Oggi la materia è regolata ancora dalla legge matrimoniale del 1929: una buona legge, ma dettata in un contesto normativo e sociale del tutto diverso dall’odierno.Il problema è, dunque, il Concordato? Proprio no. Il vero problema è che, nonostante alcuni tentativi fatti negli anni Ottanta, subito dopo la revisione del testo concordatario, il Parlamento italiano non ha mai seriamente posto mano a una moderna legge matrimoniale, nella quale anche questa delicata questione venisse equamente risolta. E fin tanto che le cose rimarranno così, ci saranno sempre delle persone che si opporranno alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità, perché le condizioni economiche poste dalla legge sul divorzio sono più favorevoli.Credo che sia giunto il momento di risolvere legislativamente una questione che, in definitiva, nulla ha a che fare con il Concordato, ma che prolungandosi nel tempo rischia di ridurre le norme pattizie in materia a mere dichiarazioni di principio.
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