domenica 26 gennaio 2014
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Un giudice del Texas ha ordinato che sia sospesa la respirazione artificiale a Marlise Munoz, la giovane donna caduta in coma in novembre, quando era alla quat­tordicesima settimana di gravidanza. Oggi la Munoz è, per i medici, in stato di morte cerebrale, ma la gravidanza prosegue. La famiglia chiede che Marlise sia lasciata mo­rire, ma l’ospedale si oppone: una legge del Texas non permette che a una paziente sia 'staccata la spina', se è incinta. Il caso divide gli Stati Uniti.
Come con Terri Schiavo, ancora una volta l’America si chi­na sul letto di una donna inerte, e che a­vrebbe detto ai suoi di non volere vivere, se ridotta all’incoscienza. Però, questa vol­ta, le vite sono due. Il cuore del bambino, oggi alla ventiduesima settimana, continua a battere. Secondo il padre le ecografie te­stimoniano gravi handicap, altro argo­mento che spinge molti a pensare che è meglio staccare quella spina. E lo scontro attorno a Marlise si fa violento: il marito accusa i medici di usare la moglie come un contenitore, o una cavia.
La decisione di ieri forse sarà impugnata da una Corte di livello superiore, e la battaglia potrebbe an­dare avanti. Nel frattempo andrà avanti an­che quella gravidanza forse lesa, eppure così tenace; quel battito, in una donna ce­rebralmente morta. Attorno a una vicenda come questa viene da parlare a bassa voce. E tuttavia, con il ri­spetto che si deve al dolore, si può do­mandarsi se davvero il marito possa rite­nersi il depositario assoluto della volontà della moglie. Si può dire, in astratto, da sa­ni, 'se capitasse a me, staccate la spina'. Ma davvero quella donna aveva contemplato questa evenienza, aspettando un figlio che desiderava? Cambiano molte cose, nella te­sta di una donna, quando aspetta un figlio. (Ci sono perfino donne che, gravemente malate, scelgono di portare a termine la gravidanza: quasi per lasciarsi dietro, nel­la morte, una vita).
Colpisce poi, nei fami­liari, la non considerazione di quel figlio; il guardare a lui quasi come a un occupante. Davvero sua madre lo guarderebbe così? Fatichiamo a crederlo. Quel battito legge­ro e ostinato sembra una domanda, un bus­sare – sopraffatto dal clamore dello scon­tro, accecato dai riflettori delle tv.
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