mercoledì 18 marzo 2009
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«Dio è la sola ricchezza che, in defi­nitiva, gli uomini desiderano tro­vare in un sacerdote». Nelle parole con cui il Papa ha annunciato alla Congregazione per il Clero l’«anno sacerdotale » che ini­zierà a giugno, c’è questo passaggio pe­rentorio. Quasi un «memento» ai suoi, con l’autorevolezza del successore di Pietro: Dio, è la sola ricchezza che gli uomini cer­cano in voi. Non sapienza o raffinata dot­trina e nemmeno solo opere di carità, o u­mana compagnia: ciò che davvero gli uo­mini, anche oggi, cercano in un prete, è Dio. Monito forte, e radicalmente esigen­te. Ma quasi, si direbbe, angolato nella pro­spettiva dei fedeli, immedesimato nell’a­nimo di chi entra, o vorrebbe entrare, in u­na chiesa, o si inginocchia in un confes­sionale: ricordatevi, dice il Papa, che in voi cercano Dio – nulla di meno. Non a caso quest’anno sacerdotale nasce nella me­moria del curato d’Ars, uno che nella cura dei fedeli si sfiniva: dieci, quindici ore al giorno in confessionale, conscio che la sua gente domandava a lui, povero prete cre­sciuto in campagna, il segno di un’altra mi­sericordia. La forte sottolineatura dell’essenza del sa­cerdozio si ripercuote in una seconda e­sortazione: a essere, i sacerdoti, 'presenti, identificabili e riconoscibili' sia per il giu­dizio di fede che per l’abito. Identificabili e riconoscibili: un sacerdozio che non si confonda con i giudizi e i modi del mondo, quasi a mi­metizzarsi, ma che nell’essere, nel dire, nel mostrarsi si di­chiari per ciò che è: figura di Cristo. È netta la parola di Be­nedetto XVI ai suoi preti, ma sembra ri­flettere anche qui la domanda dei comu­ni fedeli – del popo­lo cristiano navigante nella modernità, ai suoi sacerdoti: portateci Cristo, portatece­lo in modo chiaro, riconoscibile, audace. Portatecene il volto misericordioso, perché la più perfetta giustizia non guarisce gli uo­mini: ne occorre una più grande, che li fac­cia rinascere. Dai giorni degli apostoli, gli uomini hanno bisogno, per credere, di altri uomini. Di fac­ce che portino e incarnino, nelle loro gior­nate di fatica oscure o banale, Cristo («Nel fatto che Dio si è fatto uomo sta sia il con­tenuto che il metodo dell’annuncio cri­stiano », ha detto Benedetto XVI). Dunque, Dio ha bisogno di uomini per farsi presen­te tra loro, e gli uomini hanno bisogno di sacerdoti, in cui trovare il volto e la mise­ricordia di Dio. «Senza il sacerdozio mini­steriale non ci sarebbe né l’Eucarestia né, tanto meno, la missione e la stessa Chiesa», ammonisce il Papa. Senza il sacerdote, non ci sarebbe Chiesa. Solo lui può spezzare il pane e versare il vino; solo lui può dire 'Io ti assolvo', dove quel perdono è di Cristo. Quasi il parlare, quello del Papa, di un con­dottiero ai suoi uomini, mentre la batta­glia si fa aspra e dura; come un ricordare loro cosa hanno scelto, chi sono, e cosa cer­cano in loro milioni di persone – che ma­gari non entrano in una chiesa, e però sen­za ammetterlo vorrebbero incontrare, nel­la faccia di un uomo, Dio. La storia antica del curato d’Ars, è emblematica. Il ragaz­zo nato alla vigilia della Rivoluzione, che ri­cevette la Comunione in un granaio, in clandestinità, è il testimone di tempi per la Chiesa drammatici. Nella Francia delle chiese spogliate Gio­vanni Maria Vianney fu mandato in un vil­laggio dove, a detta del suo vescovo, a Dio si pensava ben poco. Eppure, quel paese di 230 anime si trovò come travolto da un turbine di decine di migliaia di pellegrini l’anno. Dall’una di notte si mettevano in coda, aspettando. Non era stato un semi­narista brillante, faticava, l’ex contadino, col latino. Ma ripeteva, a messa, additan­do il tabernacolo: 'Lui è qui'. E ne era co­sì visibilmente certo, e raggiante, che la gente non chiedeva altro. Bastava. Era, dav­vero, la sola ricchezza che cercavano, in un povero prete.
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