lunedì 7 aprile 2014
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Sullo schermo del pc in redazione passa l’ultimo appello dell’Acnur, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati: sono un milione i siriani sfollati in Libano, equivalenti a un quarto della popolazione di quel piccolo Paese. Come se in Italia arrivassero 15 milioni di profughi. Ma, peggio, quasi la metà sono bambini. 400mila bambini fuggiti dalle bombe e dalla guerra civile. Per 100mila di loro, ha spiegato una rappresentante dell’Unicef da Beirut, si è trovato a fatica un posto nelle scuole libanesi. Per 300mila non c’è niente: solo, nei campi, malattie e ogni tipo di miseria e anche di sfruttamento. Mentre incombe il rischio della siccità: ha piovuto pochissimo quest’inverno in Libano, e l’estate è alle porte. L’allarme dell’Alto commissariato passa sullo schermo e poi scompare, sospinto dal flusso inarrestabile delle altre notizie., spesso incomparabilmente meno drammatiche. Ti resta però il pensiero, in un angolo della coscienza: quei bambini, quanti.O forse, per capire, non dobbiamo pensare alle migliaia, ma a uno, o due: occorre guardare quelle facce, quegli occhi. Nelle foto sul web, pressati contro le transenne delle interminabili code per la distribuzione di viveri, hanno sguardi adulti nei lineamenti infantili, e quel contrasto già è doloroso. Hanno occhi da naufraghi, in braccio alle madri: che riescono a tenere in braccio solo il più piccolo, e gli altri si arrangiano. Guardare la faccia di un solo bambino fa capire di più, non è vero? Giacché gli uomini e le donne non sono mai numeri, ma storie e volti unici e irripetibili (sono forse foto simili quelle che il Nunzio in Siria ha mostrato al Papa, come Francesco ha detto nella intervista ai giovani belgi. Sono forse le stesse immagini che hanno spinto il Papa a pregare per il popolo siriano). E dunque almeno 300mila bambini così sono dentro a questo esodo biblico in Libano - oltre alle centinaia di migliaia  sfollati in altri Paesi adiacenti. E noi, cosa possiamo fare? Sostenere la Caritas, le grandi agenzie internazionali e le Ong che operano sulla emergenza Siria, certo, e farlo generosamente. E però rimane, tagliente, insistente, spento il pc, la memoria di quegli occhi. E, così indugiando la memoria, si affaccia un sogno, semplicemente un sogno: se solo si potesse portare alcuni di quei bambini in Italia, in Occidente, in una sorta di affido, per qualche mese - il tempo di superare l’onda alta dell’emergenza.  Qualcosa di simile a ciò che si fece per i bambini di Chernobyl, centinaia dei quali vennero ospitati e curati da famiglie italiane, e poi tornarono a casa. Non si vuole "rubare" i figli a nessuno. Non si tratta in alcun modo di questo. Ma la guerra e la fame e la siccità sono forze brutali e incalzanti, e in pochi mesi fanno in tempo a prendersi molte vite. Magari qualche migliaia di queste vite si potrebbero salvare, con un piano di affido temporaneo internazionale. Quante famiglie, quante persone, in Italia e magari in Europa, sarebbero disposte a prendersi in casa per qualche mese un piccolo profugo? Non poche, crediamo. E sarebbe come, nella opaca indifferenza che avvolge l’Occidente riguardo alle miserie delle guerre e del Terzo mondo, uno spiraglio di umanità. Un accollarsi per qualche tempo questi figli, farebbe bene anche a noi – ci ricorderebbe chi siamo, e cosa conta davvero.

Ci mostrerebbe che, ancora, tuttavia, siamo dei privilegiati: viviamo in un Paese in pace, i treni vanno, gli ospedali curano, i nostri figli crescono. I bambini siriani, non sempre. Soltanto un sogno, sulla scia di foto guardate un istante di troppo, non chiuse sullo schermo abbastanza in fretta. Figurati, pensi, quali ostacoli immensi e burocrazie e impedimenti dovrebbe superare, un’idea come questa. Impossibile. È solo un povero sogno. Ma i sogni, ti domandi in un soffio di ribellione, bisogna sempre censurarli? Dirli, almeno, questo si può. Osare il sogno di portarsi a casa per qualche mese un piccolo profugo: curarlo, farlo giocare, fargli vedere che esiste ancora, la pace, e che quindi si può desiderarla, si deve costruirla. Appena mille, appena cento bambini? Fosse anche uno solo, ogni figlio ha un valore infinito.

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